Condominio

Fondi usati per altri condomìni, è appropriazione indebita

di Paolo Accoti

Utilizzare denaro di pertinenza di un altro condominio per effettuare pagamenti in favore di altri condomìni, guidati dal medesimo amministratore, integra il reato di appropriazione indebita. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, VII Sezione penale, nell’ordinanza 18699/2019.

Il codice penale (articolo 646) è chiaro: chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria di denaro di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 1.032,00 euro. È esclusa la procedibilità d’ufficio anche nelle ipotesi aggravate e nel caso ricorrano determinate circostanze e, in particolare, se il fatto è stato commesso con abuso di relazioni d’ufficio, come appunto, nell’ipotesi in cui a commettere il reato sia l’amministratore del condominio.

Per la Suprema Corte , del resto, «È pacifico che ai fini della configurabilità del delitto di appropriazione indebita, qualora oggetto della condotta sia il denaro, è necessario che l’agente violi, attraverso l’utilizzo personale o altro tipo di distrazione non autorizzata, la specifica destinazione di scopo che esso può avere» ( sentenza 50672/2017).

Con questa motivazione è stata confermata la sentenza della Corte d’Appello di Milano con la quale un amministratore di condominio era stato condannato per il reato di appropriazione indebita consumato in danno di due condomìni da lui stesso amministrati, mediante l’utilizzo non autorizzato delle somme versate da un condominio, in favore dell’altro in crisi di liquidità. Infatti, con il versamento delle quote condominiali i condòmini imprimono al denaro una determinata destinazione che, appunto, è quella di remunerare un particolare servizio reso in favore del condominio.

Quindi, all’atto della consegna del denaro, sullo stesso grava una espressa limitazione in merito al suo utilizzo, con un preciso incarico di darvi una specifica destinazione o di impiegarlo per un determinato uso.

Ecco che, allora, è stato ritenuto responsabile del reato di appropriazione indebita l’amministratore che, dopo aver acceso a suo nome un conto corrente bancario, il cosiddetto “conto di gestione”, nel quale confluivano i fondi di diversi condomìni dallo stesso amministrati, provvedeva poi a effettuare i pagamenti relativi alle spese di tali condomìni perché, in tal modo, una volta confluite tutte le somme sul conto “comune”, è evidentemente fisiologico e “automatico” che le spese di un condominio siano pagate con i soldi di un altro condominio, risultando irrilevante la circostanza relativa all’effettivo utilizzo di parte delle somme versate nel conto corrente “di gestione” per i pagamenti dovuti ai fornitori dei singoli condomini (Cassazione penale, sentenza 57383/2018).

Tanto è vero che il possesso di quel denaro da parte dell’amministratore, non conferisce allo stesso il potere di compiere atti di disposizione non autorizzati o, comunque, incompatibili con il fatto che debbano essere a disposizione del condominio e, ove ciò avvenga, si commette il reato di appropriazione indebita (molte le sentenze della Cassazione penale in questo senso, tra cui 50672/2017, 24857/2017, 12869/2016 e 46474/2014).

La Suprema Corte, infatti, è costante nel ritenere che «il delitto di appropriazione indebita si realizza rispetto alle somme di denaro che siano affidate al detentore con un vincolo di destinazione, con l’accertamento della mancata destinazione delle somme alla finalità convenuta, indipendentemente dall’individuazione dell’atto di disposizione che sia stato effettuato con l’uso di tali somme» (sentenza 9578/2019).

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