Condominio

Condòmini in lite da 10 anni ma i torti reciproci «asciugano» il risarcimento

di Valeria Sibilio

Da quando i cittadini sono diventati condòmini, le vite quotidiane sovente vengono inacidite da scontri sordi e rancorosi nascosti dietro l'ipocrisia del «buongiorno-buonasera» davanti all'ascensore. Beghe che esplodono in assemblea di palazzo, finendo in tribunale in quella trincea del condominio che vede opposti padroni di casa e locatari.
Come nel caso di un vicino, convenuto in giudizio dalla proprietaria dell'appartamento in cui vive, al quale quest'ultima aveva chiesto la condanna al risarcimento dei danni per molestie ed ingiurie avvenute durante l'arco di un decennio. Tribunale e Corte d'Appello avevano rigettato la richiesta in quanto la signora non aveva fornito sufficienti prove per dimostrare l'esistenza di un atteggiamento persecutorio da parte del proprio locatario. Fatta eccezione, tuttavia, per la condanna del condòmino al pagamento, in favore della signora, di euro 500,00.
Non ritenendo soddisfacente tale esito, la condòmina è ricorsa in Cassazione affidandosi a cinque motivi, che comprendevano, tra le altre, prove di pratiche persecutorie suffragate da testimonianze, sentenze penali di condanna e rapporti medici che accertavano una forma di ansia reattiva, della quale la signora è sofferente, collegata con la conflittualità con il vicino.
Per la Cassazione, però (sentenza 12477/2017) , i fatti addotti dalla signora a sostegno della sua tesi, ma già oggetto di giudicato penale, non possono essere utilizzati a supporto delle domande, avendo la stessa già ottenuto il risarcimento per i danni subiti. Inoltre, sottolinea la Cassazione, le plurime condanne in sede penale del vicino molesto non fanno acquisire automaticamente alla signora il ruolo di vittima, avendo lei stessa patteggiato, insieme al marito, la pena per lesioni personali cagionate proprio al vicino – un episodio a seguito del quale questo venne ferito con un'arma da taglio - risarcendo anche il relativo danno. Anche il rapporto medico che dimostra l'accertata problematica psichica di cui la signora è sofferente non è direttamente riconducibile a fatti o colpe legate al proprio vicino, mancando prove sufficienti che lo dimostrino.
Pertanto, la carenza di prove, motivata dal Giudice d'Appello, diventa ancora più stringente, in un quadro probatorio di estrema labilità che non può suffragare la domanda della signora. In conclusione, la Cassazione ha rigettato il ricorso non non disponendo nulla sulle spese di giudizio, stante la mancata costituzione dell'intimato.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©