Condominio

Lite sui lavori straordinari, l’amministratrore agisce in giudizio senza bisogno di una delibera

All'amministratore non serve l'autorizzazione per costituirsi in giudizio nelle cause che rientrano nelle sue attribuzioni

di Selene Pascasi

All'amministratore non serve l'autorizzazione assembleare per costituirsi in giudizio nelle cause che rientrano nelle sue attribuzioni. In particolare, in caso di appalto per lavori di manutenzione straordinaria sulle parti comuni, ha la legittimazione processuale, anche attiva, se risulta che la stipula del contratto sia stata autorizzata o approvata con ratifica dall'assemblea. Del resto, i limiti delle sue ordinarie attribuzioni possono essere superati dai maggiori poteri conferitigli dal regolamento condominiale o dall'assemblea. Lo puntualizza la Corte di appello di Napoli con sentenza n. 882 del 3 marzo 2022 (relatore Chieca) . In lite, una S.r.l. ed un Condominio.

Tutto nasce dalla richiesta della società di ottenere dal giudice l'ingiunzione di pagamento di circa 43 mila euro che l'ente le doveva per lavori di manutenzione ordinaria realizzati in esecuzione del contratto d'appalto risoltosi di diritto. Il condominio committente, nonostante le sollecitazioni ricevute, non aveva provveduto a predisporre gli stati di avanzamento dei lavori né a rilasciare effetti cambiari per importi corrispondenti a quelli degli stati di avanzamento, come da accordi. Così, vista la protratta inadempienza, aveva espresso di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto, chiedendo di procedere alla verifica ed alla contabilizzazione delle opere eseguite fino ad allora, comunicando la sospensione dei lavori.

Tuttavia, erano sorti contrasti sulla quantificazione dell'importo dovuto, al netto degli acconti percepiti. Il giudice, accolta la domanda, ordina al Condominio di versare alla società quanto preteso ma questo si oppone. Il rito a cognizione piena si chiude con la decisione del Tribunale di bocciare la richiesta di risoluzione di diritto del contratto d'appalto formulata dalla S.r.l. con revoca del decreto. Il caso arriva in appello. Il primo nodo che la Corte scioglie è l'eccepita inammissibilità dell'atto di costituzione dell'amministratore per difetto di delibera di autorizzazione a resistere o ratifica dell'operato. Eccezione infondata. L'amministratore, chiarisce, non necessita di autorizzazione per costituirsi in giudizio nelle cause non esorbitanti le sue attribuzioni, stabilite dall'articolo 1130 del Codice civile (Cassazione n. 12806/19). Fra tali cause, prosegue, rientrano quelle sulle pretese avanzate da terzi nei confronti del Condominio per obbligazioni assunte dal gestore per eseguire delibere assembleari nell'esercizio delle sue attribuzioni (Cassazione n. 39756/21).

Ebbene, nella vicenda – avendo l'amministratore resistito in entrambi i gradi di giudizio alla pretesa creditoria fatta valere dalla S.r.l. verso l'ente, stante l'inadempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto d'appalto – nessuna autorizzazione o ratifica si rendeva necessaria. Ma persino nell'ipotesi di contratto d'appalto per l'esecuzione di lavori di manutenzione extra sulle parti comuni dell'edificio, sussiste la legittimazione processuale, anche attiva, del gestore senza bisogno di apposita autorizzazione, se la stipula del contratto sia stata autorizzata o approvata con ratifica assembleare. I limiti delle ordinarie attribuzioni dell'amministratore, infatti, sono superabili dai maggiori poteri che gli conferisce il regolamento di condominio o l'assemblea.

Tanto premesso, la Corte si sofferma sul merito della controversia esprimendo disaccordo con le scelte del Tribunale. In presenza di clausola risolutiva espressa, marca, il giudice deve solo verificare la sussistenza di un inadempimento imputabile al debitore, non essendo tenuto a valutare se l'adempiente abbia legittimamente esercitato il diritto di risoluzione. Nel caso di specie, c'era un inadempimento colpevole del Condominio per non aver provveduto, malgrado le sollecitazioni, alla predisposizione degli stati di avanzamento dei lavori ed all'emissione dei relativi certificati di pagamento. Contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, però, i pagamenti non dovevano effettuarsi nei modi e termini stabiliti dal contratto d'appalto, bensì in base agli stati di avanzamento dei lavori ed ai certificati di pagamento emessi dal direttore dei lavori.

uesto, perché le modalità di pagamento contrattuali erano inefficaci alla luce di una interpretazione sistematica del testo e del comportamento complessivo delle parti. Peraltro, gli stati di avanzamento dei lavori non avevano natura meramente contabile giacché in base ad essi venivano poi emessi i certificati di pagamento.

Il giudice, in sintesi, non avrebbe dovuto valutare la gravità dell'inadempimento addebitato al Condominio visto che la clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per una determinata inadempienza di controparte, dispensandolo dall'onere di provare la sua rilevanza. Inoltre, la retroattività degli effetti della risoluzione per inadempimento dei contratti a prestazioni corrispettive, collegata al venir meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta a carico di ciascun contraente ed indipendentemente dalle inadempienze a lui imputabili, l'insorgenza dell'obbligo di restituire la prestazione ricevuta o il suo equivalente pecuniario. In caso di risoluzione di un contratto sinallagmatico come l'appalto, quindi, era fondata la richiesta dell'appaltatore di pagamento del valore delle prestazioni già eseguite di cui il committente si giova, trattandosi di diritto collegato all'obbligo restitutorio derivante dallo scioglimento del contratto.

La domanda di pagamento proposta dalla S.r.l. nei confronti del condominio, perciò, proprio perché riferita ai lavori realizzati fino alla risoluzione di diritto dell'appalto, valeva come richiesta di ripetizione del loro equivalente. Esclusa la sussistenza di un inadempimento colpevole dell'ente, dunque, il Tribunale avrebbe dovuto solo respingere la pretesa restitutoria per equivalente, assente una domanda di adempimento. Al contrario, aveva esaminato temi esulanti la causa. La Corte, comunque, conferma la sentenza seppur per una ragione diversa: genericità della clausola risolutiva invocata dalla S.r.l. la quale – recitando che “la risoluzione del contratto opera di diritto in tutti i casi previsti nel presente contratto ed anche in caso di mancato rispetto delle disposizioni di legge vigenti” – finiva per essere applicabile indistintamente ad innumerevoli ipotesi di inadempimento, divenendo una clausola di stile. Peraltro, quell'azione d'inadempimento proposta per la prima volta in appello era nuova ed inammissibile. Di qui, il rigetto dell'impugnazione da parte della Corte napoletana che convalida, corretta la motivazione, la decisione del Tribunale.

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