Condominio

Considerazioni sul superbonus: è davvero la panacea per la casa?

No secondo l’Associazione piccoli proprietari case perchè non è innanzitutto una misura che può garantire un rilancio duraturo dell’edilizia

di Mario Fiamigi - segretario nazionale Appc

Non c’è dubbio che per la proprietà immobiliare il 2021 è stato caratterizzato dal superbonus la cui proroga inserita nella legge di bilancio è stata festeggiata da tutte le forze politiche nonché dalla quasi unanimità delle associazioni di categoria . Il quasi è determinato proprio dalla posizione di Appc, Associazione piccoli proprietari case, che, sin dall’introduzione della misura, non si è accodata ai peana trionfalistici che si innalzavano da ogni dove.

Ma come mai una associazione che rappresenta la piccola proprietà immobiliare è scettica sulla grande opportunità di ristrutturare gratis parti comuni e private, rifiuta una pioggia di denaro piovuto dal cielo, una lotteria di capodanno vinta contemporaneamente da milioni di persone proprietari di appartamenti in condominio, villette, chalet, baite e persino castelli (un castello in Piemonte compare nei rapporti mensili dell’Enea ed è beneficiario di un sussidio di oltre un milione di euro)?

Le ragioni che ci inducono a nutrire dubbi sulla misura
Sì, e per motivi seri che abbiamo già illustrato e che non ci stancheremo di ripetere:
1)L’impatto economico sul bilancio dello stato è, a detta di tutti gli economisti, non sostenibile nel tempo quando invece c’è bisogno di un grande piano di efficientamento energetico e di rinnovamento edilizio senza scadenze temporali e adattabile costantemente alle innovazioni tecnologiche;
2)A tutto novembre gli oltre 13 miliardi di spesa che corrispondono a circa 70 mila interventi hanno riguardato solo lo 0,54% delle abitazioni unifamiliari e lo 0,87% dei condomìni. Una percentuale irrisoria, un enorme sforzo economico che ha partorito un topolino;
3)L’aumento stellare dei prezzi dei materiali e dei componenti dovuto all’effetto distorsivo della mancanza di interesse da parte dei proprietari a contrattare i prezzi con le imprese e alla necessità di rispettare i tempi dettati dalla legge provoca un danno immediato a tutti coloro che per qualunque motivo, al di là dei bonus, devono effettuare lavori di questa tipologia;
4)Il proliferare di truffe di ogni tipo (l'agenzia delle Entrate ha già contestato frodi per un controvalore complessivo attorno al miliardo di euro);
5)L’ingresso sul mercato di imprese nate ad hoc e pertanto spesso prive dei requisiti minimi di efficienza e affidabilità;
6)La complessità burocratica e l’incertezza normativa rendono difficilissima la gestione e il controllo da parte della committenza con tutti i gravissimi rischi che questo comporta sulla pelle e il portafoglio della proprietà immobiliare (revoca dell’incentivo con interessi e sanzioni).

Ripensare la filosofia dei bonus
Appc ritiene che per un vero e duraturo rilancio dell’edilizia e per attuare la trasformazione eco compatibile e l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio occorra ripensare la filosofia dei bonus più o meno super e ritornare ad usare strumenti dalle radici solidariste come fu nel dopoguerra il cosiddetto Piano Fanfani-Ina Casa che cambiò radicalmente l’Italia dando una casa a centinaia di migliaia di famiglie che vivevano in condizioni da “terzo mondo”, come diremmo oggi ma era la realtà dell’Italia di allora. Il piano venne finanziato attraverso una trattenuta dello 0,60 sul reddito di tutti i lavoratori e dell'1,20 dei datori di lavoro, oltre che attraverso investimenti dello Stato.

Una partecipazione universale a favore di chi meno aveva, e che portò nei primi sette anni di vita ad investimenti complessivi di 334 miliardi di lire per la costruzione di 735.000 vani, corrispondenti a 147.000 alloggi. Alla fine dei quattordici anni di durata del piano, i vani realizzati saranno in totale circa 2.000.000, per un complesso di 355.000 alloggi. Il Piano Ina-Casa alla sua scadenza avrà aperto 20.000 cantieri che porteranno, come era negli intenti dei legislatori, ad impiegare molta manodopera stabile: circa 41.000 lavoratori edili all’anno, costituenti un impiego pari al 10% delle giornate-operaio dell’epoca.Una grande riforma che aprì la strada al boom economico degli anni ’60 e che dovrebbe essere fonte di ispirazione di una nuova politica della casa anche nel secondo millennio.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©