Anche se non indispensabili, le modifiche pro disabili sono a carico di tutti
L'art. 2 della L. 9 gennaio 1989, n. 13, recante norme per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche egli edifici privati, prevede la possibilità per l'assemblea condominiale di approvare le innovazioni preordinate a tale scopo con le maggioranze indicate nell'art. 1136 comma 2 e 3 c.c., ovvero almeno i due terzi del valore millesimale dell'intero edificio in prima convocazione oppure almeno la metà in seconda convocazione, in deroga all'art. 1120, comma 1, che richiama il comma 5 dell'art. 1136 e, quindi, le più ampie maggioranze ivi contemplate.
La suddetta legge dispone, tuttavia, che resta fermo il disposto dell'art. 1120, comma 2, il quale vieta le innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso e al godimento anche di un solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell'utilità secondo l'originaria costituzione della comunione.
Qualora detta innovazione venga positivamente deliberata dall'assemblea, essendo il vestibolo e l'accesso al condominio parti comuni destinate a servire i condomini in egual misura, la spesa per la sua effettiva realizzazione sarà sostenuta da tutti i proprietari, ai sensi dell'art. 1123, comma 1, c.c., proporzionalmente ai millesimi relativi alle singole unità immobiliari.
Al contrario, in caso di delibera di rifiuto all'esecuzione dei lavori ovvero non vengano effettuate, entro tre mesi, le innovazioni deliberate , il secondo comma del succitato art. 2 fa salva la possibilità del singolo condomino di installare, a proprie spese, “servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici”.
In tal modo l'ordinamento “contempera la proprietà (che la Costituzione tutela direttamente) con il diritto alla mobilità del disabile (che la Costituzione tutela altrettanto), e disciplina i contrapposti interessi in modo da realizzare il secondo interesse incidendo al minimo sul primo” (Trib. Bologna, Sez. III, Sent. 16.02.2010).
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