Centri, periferie e piccole città: valori in libertà per il Catasto sulle caategorie A2 e A3
In molte città italiane due vicini di casa possono trovarsi a pagare le imposte su basi fiscali diverse a parità di quotazione dell’immobile
Valori catastali contro prezzi di mercato. Chi possiede una casa in categoria A/3 oggi è avvantaggiato – mediamente – rispetto a chi ne ha una in A/2. Non è questa l’unica criticità dell’attuale sistema catastale, ma certo è una delle più rilevanti e sottovalutate. Spesso, infatti, l’attribuzione di una di queste due categorie – che insieme fanno il 73% del patrimonio abitativo e dovrebbero distinguere edifici economici e di buon livello – non riflette le reali caratteristiche del fabbricato e, di conseguenza, il prezzo.
Il risultato è che in molte città italiane due vicini di casa possono trovarsi a pagare le imposte su basi fiscali diverse a parità di quotazione dell’immobile: fatto 100 il prezzo di mercato, non è difficile trovare chi paga su un valore catastale di 37 e chi di 71 nello stesso quartiere. I dati elaborati dal Sole 24 Ore del Lunedì sono ricavati dalle rendite catastali intermedie di un’abitazione-tipo in un campione di 12 grandi città e 14 centri di provincia, confrontate con i prezzi di mercato minimo e massimo rilevato da Nomisma per immobili non signorili.
Ad esempio, un’abitazione in centro a Bologna può avere una quotazione di mercato da 196mila a 271mila euro, con un valore catastale da circa 90mila (categoria A/3) a 138mila euro (A/2). Perciò,
Elaborazioni come questa dimostrano quanto sarà profondo e complesso il lavoro di revisione del catasto previsto dal disegno di legge delega per la riforma fiscale. Non solo per arrivare al «corretto classamento» degli immobili che non rispettano «la categoria catastale attribuita» (articolo 7 del Ddl). Ma anche per rimettere ordine tra le tante incoerenze stratificate nel corso degli anni.
«Oggi abbiamo senz’altro una grande variabilità di rapporti tra prezzi e valori catastali, che dipende essenzialmente da accatastamenti non uniformi», osserva Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma. Che rileva un altro aspetto: «A parte qualche caso eclatante, il grosso delle differenze dipende dall’attribuzione della categoria A/2 o A/3, ma non dobbiamo dimenticare il fattore legato alla loro diffusione: abbiamo città dove le A/2 sono meno del 10% delle unità e altre in cui sono più dell’80%, e questo è un ulteriore elemento condizionante».
Le distanze tra le zone
Scorrendo i valori delle varie città (si veda la grafica a lato), la prima impressione è che non ci sia un filo conduttore. In realtà, emergono alcune chiavi di lettura.
Già oggi non è impossibile trovarsi a pagare le imposte su valori fiscali superiori a quelli di mercato per gli immobili di minor quotazione. Capita per le abitazioni A/2 in periferia a Torino e a Bari. Ma anche in centro a Genova e ad Aosta, e in una località di provincia come Castrovillari (Cosenza).
È vero, comunque, che nella maggior parte dei casi si verifica il contrario: il prezzo dell’immobile, cioè, è più alto di quello riconosciuto dal Fisco. Ed è un fatto che questo divario tenda a essere più marcato nelle zone centrali delle grandi città. Ma forse meno di quanto ci si sarebbe aspettato, mettendolo a confronto con le periferie e le zone di provincia.
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