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Contatore di cantiere a disposizione di tutto il condominio: come e da chi verrà pagato il consumo?

Non raro che durante i lavori l’impresa non controlli il «contatore di cantiere», impiegato da qualche condomino per scopi privati

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di Ivana Consolo

Non è circostanza rara l’utilizzo di un contatore di cantiere anche per scopi differenti da quelli per cui è effettivamente destinato. Ma quali sono poi i risvolti concreti di questa (pessima) prassi? E l’accordo tra ditta e condòmini, in caso di problemi, come va qualificato?
La risposta ai quesiti posti ci viene fornita dalla sentenza civile numero 2013 emessa dalla Corte d’appello di Napoli lo scorso 10 maggio.

La vicenda

Un’impresa edile, incaricata di realizzare uno stabile condominiale, provvedeva all’esecuzione dei lavori e predisponeva, all’uopo, un contatore elettrico di cantiere. Accadeva che, ultimate le opere principali, e realizzati i singoli appartamenti, si verificava un ritardo nell’installazione dei contatori elettrici serventi le distinte unità abitative. L’impresa ed i condòmini proprietari degli appartamenti, decidevano così di stringere un accordo tra di loro: il contatore di cantiere sarebbe stato messo a disposizione di tutti i condòmini, e l’impresa avrebbe anticipato le somme indicate dalla fattura emessa dalla società di fornitura previa riscossione/recupero degli importi dai singoli proprietari; il tutto fintanto che non fosse stato possibile predisporre i contatori individuali, e finché non fossero stati definitivamente ultimati i lavori che rendevano ancora necessaria la presenza di un contatore di cantiere.

L’accordo raggiunto sembrava reggere alla perfezione, fino a quando l’impresa non si determinava a chiedere ed ottenere un decreto ingiuntivo a causa di un presunto inadempimento da parte dei condòmini. Il decreto ingiuntivo non veniva opposto e diventava definitivo, ma l’impresa non riusciva a recuperare l’importo ingiunto. Si avviava così un pignoramento presso terzi e, nel corso del giudizio di esecuzione, le parti esponevano le proprie ragioni, che si possono così sintetizzare:–l’impresa sosteneva l’inadempimento dei condòmini, e chiedeva che il rapporto esistente con gli stessi venisse qualificato dal giudice come gestione degli affari altrui, in base all’articolo 2028 del Codice civile. Inoltre, si chiedeva che i condòmini fossero ritenuti quali soggetti arricchitisi ingiustificatamente, secondo la previsione normativa di cui all’articolo 2041 del Codice civile, con conseguente obbligo di indennizzo in favore della ditta;–i condòmini, dal canto loro, sostenevano di non essere mai stati inadempienti; inoltre, asserivano che all’impresa non era mai stata affidata la gestione di nessun affare, esattamente come non era per nulla configurabile in capo ad essi un arricchimento senza causa, dal momento che il contatore di cantiere, oltre a sopperire al ritardo nell’installazione dei contatori individuali, era comunque necessario per l’ultimazione dei lavori commissionati all’impresa, e dunque veniva utilizzato anche dalla stessa.

La vendita dell’energia

Ma vi è di più! A dire dei condòmini, l’impresa aveva approfittato della situazione, vendendo loro energia elettrica per uso domestico ad un prezzo maggiorato rispetto a quello effettivo; da qui la domanda riconvenzionale per ottenere il rimborso di quanto pagato in più.In primo grado, il Tribunale di Napoli Nord, rigettava in tutto e per tutto le ragioni dell’impresa, così come rigettava la riconvenzionale dei condòmini, e si pronunciava circa la temerarietà della lite intrapresa dall’attrice. Per nulla soddisfatta di tale esito, la parte soccombente ricorre in appello.

In Corte d’appello

Ad essere investita della vicenda è la Corte d’appello di Napoli che, esaminati i fatti e gli atti di causa, ritiene che elemento dirimente sia la corretta qualificazione giuridica del rapporto tra le parti in causa.Ad avviso dei giudici di secondo grado, si è in presenza della fattispecie giuridica dell’obbligazione solidale.Cosa sono le obbligazioni solidali?Ebbene, come dice il termine stesso (di chiara derivazione latina), trattasi di un particolare caso di rapporto obbligatorio, ove tutte le parti sono tenute all’adempimento dell’intero. Le conseguenze sono essenzialmente due:
–il pagamento di una parte, libera tutte le altre (salvo poi agire in regresso per il recupero di quanto anticipato ad altrui liberazione);
–il soggetto creditore, è pienamente legittimato a pretendere, indifferentemente da ognuna delle parti, il pagamento dell’intero importo vantato a titolo di credito.

Tornando al caso di specie, la decisione del Tribunale circa la qualificazione in termini di sub-somministrazione del rapporto intercorso tra l'appellante ed i singoli condòmini, non può essere condivisa. Non vi è dubbio alcuno che l’accordo tra le parti sia una ipotesi di contratto atipico, tra l'altro molto diffuso nella prassi, e comunque meritevole di tutela in ossequio al principio dell’autonomia negoziale sancito dall’articolo 1322 del Codice civile.

La soluzione

Accogliendo la tesi della natura solidale dell'obbligazione, di cui si è parlato sopra, il problema di fondo resta l’impossibilità di individuare la reale contabilizzazione dei consumi effettivi.Ma secondo la Corte d’appello partenopea trattasi di un falso problema, che può essere superato ritenendo che, in assenza di diversi e contrari elementi, tutti i condòmini siano titolari (per quota ed in parti uguali) dell'obbligo di pagare l'importo complessivo. Difatti, tutti i condòmini hanno evidentemente usufruito dell'energia elettrica grazie agli allacci all'unico contatore intestato all’appellante; pertanto, l'importo complessivo va diviso per il numero dato dalla somma dei singoli appartamenti più uno (ovvero la quota di spettanza dell’impresa), e ciascun proprietario va condannato al pagamento del dividendo (uguale per tutti).

Questa conclusione discende dall'applicazione della presunzione fissata dal comma 2 dell'articolo 1298 del Codice civile, a mente del quale, nelle obbligazioni in solido, se non risulta diversamente, le parti di ciascun condebitore si presumono uguali.La Corte d’appello, quindi, all’esito di questa disamina in punto di diritto, riforma la sentenza di primo grado ponendo il pagamento della somma ingiunta a carico di tutti i condòmini, secondo le regole appena illustrate.