Condominio

I mercoledì della privacy: il fornitore che mette avvisi di morosità in condominio potrebbe commettere un reato

Scavalcando la figura dell’amministratore, rischia fino a un anno e mezzo di reclusione

di Carlo Pikler - Centro studi privacy and legal advice

Sta diventando una prassi quella che subisce l'amministratore di condominio di vedersi screditato dai fornitori i quali, con la necessità di incassare somme a loro dovute, si avventurano presso il condominio moroso e affiggono avvisi in bacheca manifestando la loro intenzione di effettuare distacchi di utenze o di avviare azioni giudiziarie atte a recuperare i loro crediti. A volte le pressioni si spingono anche oltre, mettendo nelle singole buche delle lettere dei condòmini lettere “minatorie”, ponendo così in serie difficoltà l'amministratore di condominio che oltre a trovarsi a essere sistematicamente scavalcato da queste condotte, si trova anche palesemente screditato nella sua attività di fronte ai propri amministrati.

Cosa dice l’articolo 84 del Gdpr

Ma questa attività “intimidatoria” può considerarsi lecita? Ebbene, l’articolo 84 del Gdpr demanda agli stati membri la disciplina penalistica in relazione ai reati collegabili agli illeciti trattamenti dei dati personali. In Italia è il Codice privacy (decret0 legislativo 196/2003), che va a disciplinare gli aspetti penalistici in alcuni articoli specifici. In particolare, ritroviamo il reato del trattamento illecito di dati nell'articolo 167. Questa norma è stata considerata applicabile anche nel settore condominiale, laddove consideriamo che sul punto è intervenuta la terza sezione della Cassazione che, nella sentenza 15221/2017, ha disquisito circa la valenza del contegno dell'amministratore nei confronti del portiere, oggetto di “missive e volantini” rivolti ai condòmini dello stabile, al fine di recare un pregiudizio alla reputazione dello stesso.

Dall'istruttoria era risultato che l'amministratore «aveva affisso, nella bacheca dello stabile, un foglio nel quale riferiva che il portiere si era allontanato dalla portineria per recarsi presso la locale procura della Repubblica ove pendeva, nei suoi confronti, un procedimento avviato a seguito della denuncia per lesioni gravissime ai suoi danni presentata proprio dall'amministratore». Nel caso in specie, la Suprema corte ha considerato applicabile il comma 1 dell'articolo 167 del decreto legislativo 196/2003, che recita: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre per sè o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, operando in violazione di quanto disposto dagli articoli 123, 126 e 130 o dal provvedimento di cui all’articolo 1129 arreca nocumento all’interessato, è punito con la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi».

L’utilizzo di dati personali a fini lesivi è punibile con la reclusione

Secondo la giurisprudenza di legittimità, dunque, l'utilizzo del dato effettuato per screditare il soggetto interessato, laddove sia rinvenibile un vantaggio personale di chi ne faccia uso improprio, comporta l'applicazione della fattispecie penalistica in grado di determinare la pena edittale della reclusione. Secondo la Cassazione, poi: «Giova, peraltro, rilevare come secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedi Terza sezione, 29071/2013; Quinta sezione, 46454/2008; Terza sezione, 5728/2004), il reato di trattamento illecito di dati personali non è integrato se l’utilizzo dei dati avvenga per fini esclusivamente personali, ovvero senza una loro diffusione (definita dall’articolo 4, comma 1, lettera m, come «il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione») o una loro destinazione a una comunicazione sistematica.

Gli elementi della fattispecie di reato sono, sul piano soggettivo, il dolo specifico, consistente nel «fine di trarre per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno» attraverso la descritta condotta di trattamento dei dati. Invece, sul piano oggettivo, è la circostanza che «dal fatto derivi un nocumento».

Il concetto di “nocumento”

Andando poi ad analizzare proprio la dicitura nocumento, la Corte si è soffermata nel dire che «è senz’altro opportuno ricordare come la giurisprudenza abbia, in una prima fase, qualificato il verificarsi del nocumento come condizione oggettiva di punibilità “intrinseca”, la quale attualizzerebbe l’offesa dell’interesse tutelato già realizzata dal fatto tipico» (Cassazione, ordinanza 7504/2013; 44940/2011; 16145/2008; 28680/2004), una fattispecie di pericolo concreto, integrata dalla condotta di trattamento assistita dal ricordato dolo specifico, punibile solo a condizione del verificarsi del predetto accadimento.

Solo più recentemente, quest’ultimo è stato ritenuto un elemento costitutivo del reato, avuto riguardo alla sua omogeneità rispetto all’interesse leso e alla sua diretta derivazione causale dalla condotta tipica, con conseguente necessità che esso fosse previsto e voluto o, comunque, accettato dall’agente come conseguenza della propria azione, indipendentemente dal fatto che costituisse o si identificasse con il fine dell’azione stessa (Cassazione, 40103/2015).

Il fornitore non può scavalcare l’amministratore

Ecco che allora si potrebbe ben dire che affiggere un avviso in bacheca contenente l'indicazione di una morosità paventata del condominio con l'eventuale minacciato distacco delle utenze (il tutto ascrivibile in maniera implicita alla mancanza dell'attività di recupero dei crediti condominiali atta ad evitare tale situazione di morosità) sottintende a una «manchevolezza nell’assolvimento dei compiti dell'amministratore, screditandone la reputazione e la professionalità nello stesso luogo di lavoro», determinando, nei suoi confronti, «un nocumento concreto e tangibile e non certo di minima rilevanza, anche alla luce dell’ulteriore obiettivo che l’imputato si prefiggeva».

Il rapporto contrattuale in essere tra fornitore e condominio non legittima il primo a rivolgersi direttamente ai condòmini, scavalcando la figura del secondo e sottintendendo una mancanza di questi evidenziata da una morosità lamentata ma non accertata da un titolo giudiziario. Il fornitore, quindi, dovrà far valere i propri diritti attraverso le azioni previste dal Codice civile, ma non certo mediante pressioni che possano mettere in cattiva luce l'operato dell'amministratore.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©