Il condòmino che realizza un abuso edilizio sulle parti comuni è tenuto al risarcimento del danno
Anche se è stato ripristinato lo stato dei luoghi, ci sono due differenti piani d'indagine, quello edilizio e quello condominiale ed il secondo può sussistere in assenza del primo
Il singolo condòmino che ha realizzato dei fori di aerazione sulla facciata principale dello stabile condominiale, deve essere condannato al risarcimento del danno in favore dell'ente di gestione, in quanto tale abuso edilizio, integrante gli estremi dell'illecito permanente, viene meno unicamente con il rilascio del titolo in sanatoria.
I fatti di causa
Nel caso in esame, il rilascio dell'atto amministrativo sanante era intervenuto solo dopo che il condominio aveva approvato un regolamento che subordinava gli interventi sulle parti comuni alla preventiva acquisizione del parere favorevole dell'assemblea, senza che il proprietario esclusivo avesse, per questo, richiesto la convocazione dell'adunanza per ottenere la necessaria autorizzazione. A tanto consegue la persistenza dell'illegittimità dell'attività materiale realizzata, nell'arco temporale intercorrente tra l'approvazione del regolamento (avvenuta nel 2011) ed il successivo rilascio della sanatoria (nel 2012), a nulla rilevando che l'interessato avesse, nel frattempo, spontaneamente provveduto al ripristino dell'originario stato dei luoghi.
La decisione
Sulla base di tali principi di diritto, enunciati nella sentenza 2664 del 20 luglio 2022, il Tribunale di Salerno, in funzione di giudice d'appello, ha riformato la pronuncia del Giudice di pace di Salerno che, al contrario, aveva sancito la conformità della condotta dell'appellato al disposto dell'articolo 1102 del Codice civile.In particolare, il primo giudicante, aveva ritenuto che l'apertura di tre fori di areazione sul muro perimetrale dell'edificio da parte del singolo comproprietario, in assenza di divieti regolamentari, all'epoca inesistenti, fosse conforme all'uso più intenso della cosa comune che, a determinate condizioni, ritenute sussistenti nel caso di specie, dev'essere garantito ad ogni condòmino.
Le motivazioni
Il Tribunale, dopo aver risolto alcune questioni preliminari, passando all'esame del merito dell'appello proposto dal condominio, ha concluso nel senso opposto, sulla base delle seguenti argomentazioni.Osserva il giudice di secondo grado come la vicenda in oggetto presenti due differenti piani d'indagine, quello edilizio e quello strettamente condominiale, senza che la definizione dell'uno debba, per ciò stesso, avere dirette implicazioni sulla composizione dell'altro.Non v'è dubbio che la condotta realizzata dal condòmino costituisca un illecito amministrativo, rientrante nella categoria degli abusi edilizi, in quanto opera di modifica dell’immobile realizzata in assenza di apposito titolo autorizzativo abilitante.A conferma di ciò, non solo era intervenuta apposita ordinanza del Comune, ma lo stesso autore materiale dell'illecito aveva spontaneamente provveduto alla chiusura dei fori.
Tuttavia, osserva il Tribunale, la risoluzione della vertenza tra ente locale ed autore dell'abuso, non ha esaurito automaticamente la rilevanza del profilo attinente ai rapporti interni tra proprietario e condominio.Tra la realizzazione dell'abuso ed il rilascio del titolo in sanatoria, infatti, veniva adottato un regolamento con il quale, allo scopo specifico di disciplinare l'apertura di luci e vedute sui muri comuni da parte dei singoli, si introduceva l'obbligo, a carico degli eventuali interessati, di acquisire il preventivo assenso assembleare. Stante il carattere permanente dell'illecito amministrativo realizzato dall'appellato, è, dunque, al momento dell'approvazione del citato regolamento (e non a quello, successivo, del rilascio della sanatoria) che deve farsi riferimento per valutare la legittimità o meno, dal punto di vista strettamente condominiale, dell'attività del singolo comproprietario.
Conclusioni
Ecco, dunque, che per il Tribunale non può trovare accoglimento l'interpretazione fornita dal Giudice di pace circa il diritto del singolo all'uso più intenso della cosa comune, ai sensi dell'articolo 1102 del Codice civile.La corretta lettura della disposizione richiamata, per il giudice d'appello, deve tener conto del fatto che si tratta di una norma che ben può essere derogata dal regolamento condominiale o dalle delibere assembleari adottate con le prescritte maggioranza (Cassazione 27233/2013).
Ed allora, accertato l’illecito compiuto dall'appellato alla data di approvazione del regolamento condominiale e valutato che lo stesso non ha richiesto la convocazione di apposita assemblea per ottenere l’autorizzazione necessaria a legittimare la propria condotta, deve concludersi che la stessa presentasse, almeno fino al provvedimento amministrativo assentivo, evidenti profili di antigiuridicità. Appello accolto, dunque, riforma integrale della sentenza impugnata e condanna alle spese per l'incauto condòmino, inutilmente vittorioso in primo grado.