Condominio

Il diritto a chiedere il rispetto delle distanze non si estingue con il decorso del tempo

Salva l’eventuale usucapione della servitù, all'imprescrittibilità del diritto di proprietà si associa quella dei diritti connessi alla tutela della cosa

immagine non disponibile

di Edoardo Valentino

Il diritto di proprietà, per il suo esercizio, si giova di diverse facoltà spettanti al suo titolare.
Tra queste, il proprietario ha diritto di chiedere il rispetto delle distanze al vicino che abbia costruito in aderenza. Tale diritto non si estingue per mancato esercizio, salvo l'effetto dell'eventuale usucapione della servitù. Questo il principio sottolineato dalla sentenza della Cassazione sezione II, numero 15142 del 31 maggio 2021.

La vicenda
Nel caso in questione un condominio aveva domandato l'arretramento dell'abitazione confinante, sulla base del mancato rispetto delle normative sulle distanze, in particolare con riferimento alle vedute presenti sull'abitazione.A tal fine, il primo comma dell'articolo 905 del Codice civile afferma che «Non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo». Avendo il vicino costruito la propria abitazione in aderenza al confine, il condominio ne domandava la riduzione in pristino.

Si costituiva il vicino convenuto, affermando di essere legittimato al mantenimento delle strutture nello stato di fatto, in ragione di una concessione con la quale, molti anni addietro, il suo dante causa era stato autorizzato dal condominio a realizzare l'abitazione sul confine e senza rispetto delle distanze. Secondo il condominio, però, tale concessione era stata fatta al dante causa e valeva solo per questo soggetto, non essendo invece passata all'acquirente dell'immobile. Al termine del processo il giudice di primo grado, respingendo la domanda del condominio, accoglieva la versione fornita dal vicino di casa.In buona sostanza, secondo il Tribunale, anche se la costruzione insisteva palesemente a una distanza inferiore a quella legale, tale struttura era resa legittima dalla sussistenza del permesso a costruire e mantenere le vedute che il condominio aveva rilasciato al dante causa del vicino di casa.

La pronuncia di secondo grado
Alla luce dell'esito del processo, quindi, il condominio impugnava la sentenza citata.La Corte d'appello, tuttavia, confermava l'esito del primo giudizio, ma ne variava la motivazione. Secondo i giudici del riesame, infatti, il condominio aveva atteso troppo tempo prima di proporre l'azione e – così facendo – il proprio diritto di far retrocedere il vicino facendo rispettare le distanze si era prescritto per il mancato esercizio per un termine superiore al decennio.

Il ricorso alla Suprema corte
Il giudizio approdava quindi in Cassazione, a seguito del ricorso del condominio.Il palazzo sosteneva, in estrema sintesi, come la Corte d'appello avesse errato nel proprio giudizio ritenendo prescritto il proprio diritto a pretendere l'eliminazione delle parti costruite in violazione delle distanze legali.Con la sentenza in commento, la Cassazione accoglieva il ricorso del condominio.La Suprema corte affermava infatti la ragione dello stabile nel sostenere come il suo diritto non si fosse prescritto, e anzi fosse senza termine di prescrizione.All'imprescrittibilità del diritto di proprietà, infatti, si doveva associare l'imprescrittibilità dei diritti connessi alla tutela della cosa, tra i quali il diritto ad ottenere l'arretramento della struttura realizzata a distanza inferiore rispetto a quella legale.

Tutto ciò, chiaramente, incontrava il limite dell'usucapione: il diritto, infatti, di per sé non si prescrive, ma il suo esercizio può essere precluso se la controparte nel frattempo (in venti anni) matura il diritto a mantenere la struttura anche a distanza inferiore a quella prescritta dalla legge.L'esercizio prolungato per oltre venti anni e ininterrotto di una servitù apparente, come quella di veduta, infatti, dà luogo all'usucapione, con effetto di vanificare l'eventuale richiesta giudiziaria di pronuncia negativa rispetto alla servitù.Alla luce dell'accoglimento del ricorso del condominio, quindi, la sentenza di appello veniva cassata e il giudizio era rinviato ad altra sezione della Corte di merito per un nuovo processo.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©