Il diritto condominiale preso sul serio: i principi fondanti della disciplina condominiale
Excursus a 10 anni dall’entrata in vigore della riforma
La legge di riforma del condominio 11 dicembre 2012, numero 220, è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale 293 del 17 dicembre 2012, data da cui sono decorsi i sei mesi previsti per la sua entrata in vigore, che quindi ha avuto inizio il 18 giugno 2013. Si sono così appena conclusi i primi dieci anni di applicazione delle disposizioni introdotte dalla legge di riforma, che però soltanto in parte conteneva previsioni davvero innovative rispetto al regime precedente, dal momento che molte di esse invece si erano limitate ad introdurre nella disciplina legislativa principi enunciati dalla giurisprudenza e già oggetto di applicazione costante.
Cosiderando che fin da dicembre 2022 sono già stati esposti i bilanci della normativa contenuta nella riforma, sembra allora utile – invece di delineare l’ennesimo bilancio dell’applicazione della disciplina – concentrare l’attenzione su un aspetto differente, che è collegato tanto alla normativa precedente alla riforma di dieci anni fa, quanto a quella attuale. Si tratta infatti di individuare una serie di regole fondamentali, scritte oppure tratte dalla giurisprudenza, che possono essere definite, seppure non in senso stretto, come i principi fondanti della disciplina condominiale.
Non si tratta, però, di veri e propri principi, ma più esattamente di specifiche regole operative della materia da tenere in considerazione non solo per una piena comprensione degli istituti di volta in volta contemplati, ma anche come “chiavi di lettura” nell’esame delle varie problematiche che si presentano in questo settore del diritto, in modo da riuscire a ricavare soluzioni operative coerenti con la natura dell’istituto e con la sua disciplina.Questo argomento merita una riflessione, perché l’impressione più diffusa – in parte per il modo in cui sono state codificate le norme, in parte per la particolare tipologia delle questioni che si verificano con maggior frequenza – è che il diritto condominiale sia costituito da disposizioni dedicate alle sole questioni principali, ma che sono decisamente scollegate fra di loro, in una maniera che non consente di individuare pure la disciplina delle situazioni a cui non sono state dedicate prescrizioni specifiche.
L’individuazione dei principi fondanti
È possibile invece individuare quelli che possono essere definiti come veri e propri “principi fondanti” della disciplina sul condominio, vale a dire i principi su cui quest’ultima si basa e che si possono dedurre dalla disciplina vigente nel modo in cui è stata prescritta e in cui viene applicata. Si tratta, in altre parole, di regole operative fondamentali - esplicitate nelle disposizioni normative oppure implicite in esse e nella loro applicazione pratica - che emergono sia dalle disposizioni normative stesse, sia dalla loro applicazione giurisprudenziale e a cui devono essere uniformate tutte le regole operative in modo da garantire che i beni e i servizi vengano erogati a vantaggio di tutti i partecipanti al condominio, senza che un gruppo di condòmini o anche uno solo di loro possa ricevere un vantaggio maggiore a danno di altri.
La doppia maggioranza (millesimi e teste)
Alcuni di questi principi possono essere ricavati agevolmente dalle disposizioni normative.Vi è innanzitutto la regola della doppia maggioranza (secondo cui ogni delibera può essere approvata solo quando raggiunge allo stesso tempo le due prescritte maggioranze dei millesimi e delle teste, che variano in base all’oggetto della delibera e che sono contenute, oltre che nell’articolo 1136 del Codice civile, in numerose altre disposizioni). Questa regola è peculiare della disciplina sul condominio, perché non è prevista per alcun altro degli istituti giuridici nei quali le decisioni vengono adottate da un soggetto collettivo col metodo collegiale (società, associazioni, fondazioni) ed è giustificata dalla necessità di valorizzare la posizione anche del singolo condomino oppure di un gruppo di condòmini in minoranza, che dispongono di una modesta quota millesimale.
L’obbligo prescritto dalle norme di raggiungere la doppia maggioranza, infatti, esclude del tutto la possibilità che un unico condomino, qualora sia proprietario della maggioranza delle unità immobiliari e quindi sia pure titolare della maggioranza dei millesimi complessivi, si trovi in condizione di poter decidere da solo tutte le decisioni (nello stesso modo in cui avviene invece nelle società commerciali) relative all’uso e alle spese relative alle parti comuni che coinvolgono anche ciascun altro condomino.Per questo motivo tutte le disposizioni normative relative alle maggioranze contemplano sempre sia una maggioranza richiesta per teste, sia una maggioranza richiesta per millesimi, e questo accade tanto nelle norme contenute nel Codice civile, quanto in quelle introdotte attraverso le numerose leggi speciali finalizzate a regolare alcuni aspetti delle realtà condominiali mediante varie misure che comprendono pure apposite maggioranze (riscaldamento, barriere architettoniche, parcheggi, antenne satellitari ed altro ancora).
Il dissenso alle liti
Un’altra disposizione rilevante è quella sul dissenso rispetto alla lite disciplinato dall’articolo 1132 del Codice civile, che ciascun condomino può esercitare quando l'assemblea dei condòmini delibera di promuovere una lite o di resistere a una domanda giudiziale; per questa ipotesi si prevede che il condomino dissenziente, mediante un atto notificato – entro trenta giorni da quello in cui il condomino ha avuto notizia della deliberazione – all'amministratore, può separare la propria responsabilità in relazione alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza, in modo che il condomino dissenziente ha diritto di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa e unicamente nel caso contrario in cui l'esito della lite sia stato favorevole al condominio, il condomino dissenziente che ne abbia tratto vantaggio è tenuto a concorrere solo alle spese giudiziali che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente.
Con questa previsione l’articolo 1132, da una parte, garantisce la massima efficienza dell’istituto condominiale nel caso di liti attive o passive che interessano il condominio e, dall’altra parte, permette di assicurare comunque una sostanziale tutela ai condòmini contrari alla lite, esonerandoli dalla contribuzione alle relative spese quando la controversia si concluda in modo negativo per il condominio.
Inoltre da altre disposizioni (l’articolo 1102, l’articolo 1108, comma 3, dettato in realtà per la comunione, ma applicabile anche al condominio per effetto del rinvio operato dall’articolo 1139, e l’articolo 1117 in collegamento con l’articolo 1118 del Codice civile) deriva il generale divieto di sopprimere a maggioranza servizi comuni e di limitarne od impedirne l’utilizzo anche ad un solo condomino, in assenza del suo consenso. A tale scopo viene richiesto l’accordo di tutti i condòmini, senza esclusioni e a prescindere dalle motivazioni che stanno alla base delle loro scelte, per deliberare l’alienazione di un bene comune o per la costituzione di un diritto reale su di esso e anche per la locazione di durata superiore a nove anni.
La modifica della destinazione d’uso delle parti comuni
L’obiettivo della legge è quindi di evitare che a qualsiasi condomino venga impedito, contro la sua volontà, l’uso di un bene oppure di un servizio comune, a cui ha diritto.L’impianto normativo viene confermato dall’entrata in vigore dell’articolo 1117-ter del Codice civile che ammette la modificazione delle destinazioni d'uso delle parti comuni (che, però, rimangono sempre vietate quando possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o ne alterano il decoro architettonico) per soddisfare esigenze di interesse condominiale, ma richiede che la delibera venga approvata dall'assemblea con una maggioranza molto elevata (un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell'edificio) .
Prevista anche una procedura assai articolata (secondo la quale la convocazione dell'assemblea – che, a pena di nullità, deve indicare le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d'uso – deve essere affissa per non meno di trenta giorni consecutivi nei locali di maggior uso comune o negli spazi destinati a tale scopo e deve essere inviata mediante lettera raccomandata o mezzi telematici equipollenti, in modo da pervenire almeno venti giorni prima della data di convocazione; e inoltre la deliberazione deve contenere la dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli adempimenti formali appena indicati).
Le innovazioni
Ulteriore disposizione finalizzata a contenere ogni modifica relativa alle parti comuni che comporta una spesa elevata, pur senza arrivare a vietarle del tutto, è l’articolo 1120, comma 1, in collegamento col successivo articolo 1136, comma 5, del Codice civile, che richiede la maggioranza indicata da quest’ultimo (costituita da un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio) per approvare una delibera - tranne che in alcuni casi particolari – relativa a qualsiasi innovazione diretta al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni.
La ripartizione delle spese
Sempre al fine di tutelare i condòmini, l’articolo 1123 del Codice civile, sulla ripartizione delle spese, stabilisce che le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza devono essere sostenute dai condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, a meno che non vi sia una differente convenzione; che, se si tratta di cose destinate a servire i condòmini in misura diversa, le spese devono essere ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne; e che, nel caso in cui un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte soltanto dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del solo gruppo di condòmini che ne trae utilità.
In questo modo ciascun condomino viene garantito dalla contribuzione a spese relative a beni su cui può esercitare unicamente un uso differenziato rispetto a quello di altri condòmini e relative a beni da cui non trae utilità perché servono soltanto una parte dell’intero fabbricato.
Revoca amministratore
L’ultima disposizione che qui interessa richiamare è l’articolo 1129 del Codice civile che non riguarda gli aspetti delle delibere o del riparto delle spese condominiali, ma, sempre per la tutela dei condòmini in minoranza, prevede che la revoca dell’amministratore può essere, oltre che deliberata in ogni tempo dall’assemblea, pure disposta dall’autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino, nel caso in cui non avvisa l’assemblea della notifica di una citazione o di un provvedimento il cui contenuto esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, se non rende il conto della gestione oppure in caso di gravi irregolarità.
La previsione inoltre prevede che, nei casi in cui siano emerse gravi irregolarità fiscali o non sia stato aperto uno specifico conto corrente intestato al condominio, innanzitutto i condòmini, anche singolarmente, possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione e revocare il mandato all’amministratore e in secondo luogo, per il caso della mancata revoca da parte dell’assemblea, ciascun condomino può rivolgersi all’autorità giudiziaria e, se la domanda viene accolta, il ricorrente ha titolo alla rivalsa per le spese legali nei confronti del condominio (che a sua volta si può rivalere nei confronti dell’amministratore revocato).
Gli altri principi
Altri di quelli che abbiamo definito “principi fondanti” della disciplina condominiale invece sono stati individuati dall’elaborazione giurisprudenziale.Il primo da ricordare, anche per la sua portata evocativa, è il principio della solidarietà condominiale, che in realtà costituisce allo stesso tempo una regola operativa consolidata e anche un vero e proprio principio applicativo, enunciato proprio come tale nelle decisioni, anche mediante espressi riferimenti alle disposizioni costituzionali.
La solidarietà
Il principio della solidarietà condominiale è stato applicato con riferimento ad aspetti assai diversi fra di loro:
- riguardo all’uso delle parti comuni in generale (Cassazione 5 ottobre 2009, n. 21256, sulla legittimità dell’utilizzo più intenso del bene comune, da parte di un condomino, anche nei casi in cui gli altri comproprietari non hanno interesse a ritrarre dalla cosa comune la medesima utilità; Cassazione 24 giugno 2008, n. 17208 e 30 maggio 2003, n. 8808, sulla legittimità dell’apertura di un varco nella recinzione comune per mettere in comunicazione uno spazio condominiale con una strada pubblica; e Cassazione ordinanza 28 giugno 2017, n. 16260, sul divieto di modificare le parti comuni unicamente quando si realizza la definitiva sottrazione a qualsiasi possibilità di futura utilizzazione da parte degli altri condòmini e non anche quando rimane intatta la destinazione principale del bene);
- riguardo all’applicabilità delle norme sui rapporti di vicinato (Cassazione 21 maggio 2010, n. 12520);
- riguardo all’installazione dell’ascensore, in modo da favorire l’opera quando gli altri condòmini lamentano limitati pregiudizi, in particolare di carattere soltanto economico, ai loro diritti di godimento sulle parti comuni (Cassazione 25 ottobre 2012, n. 18334 e 28 marzo 2017, n. 7938).
La collaborazione
Nella stessa prospettiva della solidarietà condominiale in varie decisioni è stato fatto riferimento anche al principio di collaborazione che i condòmini devono adottare riguardo a situazioni di eccesso di potere che si possono verificare in occasione dell’approvazione delle delibere assembleari, con la conseguenza che, da una parte, i partecipanti al condominio devono collaborare e cooperare per la tutela e la migliore gestione del bene comune e, dall’altra parte, le decisioni assunte dalla maggioranza devono essere sempre ragionevolmente giustificate (Tribunale di Genova sentenza 17 febbraio 2010).
Un’altra ipotesi di applicazione dell’obbligo di collaborazione fra i condòmini si ritrova in Corte di appello di Firenze sentenza 19 settembre 2012, n. 1186 – relativa all’impugnazione, a causa del mancato rispetto del termine di cinque giorni per la convocazione dell’assemblea, di una delibera avente per oggetto soltanto un ricorso per Cassazione, il cui termine era in scadenza, contro una sentenza emessa in un giudizio di appello nel quale il condominio era coinvolto – secondo cui, richiamando la figura dell’abuso del diritto (che rende illegittimi gli atti compiuti dall’agente, secondo la ricostruzione organica elaborata da Cassazione sentenza 18 settembre 2009, n. 20106), costituisce un abuso del diritto anche il comportamento tenuto dal condomino che, seppure informato in ritardo dell’adunanza, non vi partecipa volutamente e si limita ad inviare all’amministratore un fax per segnalare l’invio tardivo della convocazione, strumentalizzando così il proprio diritto di impugnare la delibera nonostante sia stato in condizione di raggiungere la completa soddisfazione del proprio interesse mediante la collaborazione con gli altri condòmini e senza dover fare ricorso al giudice.
Nulle le delibere su beni privati dei condòmini
Importante è pure l’applicazione della regola della nullità delle delibere relative a beni privati dei condòmini. È consolidato infatti il principio secondo cui l'assemblea condominiale non può validamente assumere decisioni che riguardino i singoli condòmini nell'ambito dei beni di loro proprietà esclusiva, salvo che non si riflettano sull'adeguato uso delle cose comuni (Cassazione ordinanza 12 marzo 2020, n. 7042); e di conseguenza per il caso di lavori di manutenzione di balconi di proprietà esclusiva degli appartamenti che vi accedono, è nulla la deliberazione che dispone il rifacimento della relativa pavimentazione ponendone il costo a carico del proprietario esclusivo, perché – secondo quanto affermato da Cassazione Sezioni unite sentenza 7 marzo 2005, n. 4806 e ribadito da Sezioni unite sentenza 14 aprile 2021, n. 9839 – si devono considerare nulle le delibere dell’assemblea condominiale che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condòmini.
E quindi è valida la deliberazione assembleare che provveda al rifacimento degli eventuali elementi decorativi o cromatici dei balconi, che si armonizzano con il prospetto del fabbricato, mentre è nulla quella che disponga in ordine al rifacimento della soletta, che rimane a carico dei titolari degli appartamenti che vi accedono (Cassazione ordinanza 15 marzo 2017, n. 6652). Il criterio distintivo che individua i casi in cui sussiste la competenza dell’assemblea a decidere sulle spese relative ai balconi privati si basa sulla (eventuale) presenza di elementi decorativi che si armonizzano con la facciata del fabbricato nella quale si inseriscono, contribuendo così a renderla esteticamente gradevole (Cassazione sentenza 30 agosto 1994, n. 7603).
Una volta chiarito che l’assemblea condominiale non può assumere invece decisioni che riguardino i singoli condòmini nell’ambito dei beni di loro proprietà esclusiva, salvo che non si riflettano sull’adeguato uso delle cose comuni, solo quando i balconi, che appartengono in modo esclusivo al proprietario dell’appartamento di cui fanno parte, presentino nella facciata esterna elementi decorativi o anche semplicemente cromatici, che si armonizzano con la facciata del fabbricato dal quale sporgono, nei lavori di restauro o di manutenzione straordinaria della facciata, decisi con la prescritta maggioranza, è legittimo deliberare all’interno dei lavori comuni anche il contestuale rifacimento della sola parte esterna dei balconi in questione, dato che il decoro estetico dell’edificio condominiale è un bene comune, la cui tutela compete all’assemblea.
L’efficacia dell’annullamento delle delibere
Ulteriore principio finalizzato alla tutela dei condomini è quello che riguarda l’efficacia dell’annullamento delle delibere. Infatti quando l’azione di annullamento di una delibera esercitata ai sensi dell’articolo 1137 del Codice civile viene accolta, il condomino assente, dissenziente o astenuto che l’ha impugnata ha il diritto di vederla annullata e priva di ogni efficacia e l’annullamento della delibera produce effetto non soltanto nei confronti del condomino che l’ha impugnata, ma anche di tutti gli altri condòmini (Cassazione Sezioni Unite sentenza 14 aprile 2021, n. 9839).
È stato infatti chiarito che diretto corollario del principio dell’efficacia obbligatoria delle deliberazioni assembleari nei confronti di tutti i condòmini è l’ulteriore principio (previsto espressamente, con riferimento alle deliberazioni dell’assemblea delle società, dall’articolo 2377, comma 7, del Codice civile) secondo cui la sentenza di annullamento della deliberazione dell’assemblea ha efficacia di giudicato, per quanto riguarda la causa di invalidità accertata, nei confronti di tutti i condòmini, compresi quindi quelli che non abbiano partecipato al giudizio di impugnativa promosso da uno o da alcuni di loro (Cassazione sentenza 18 novembre 2019, n. 29878 e ordinanza 18 settembre 2020, n. 19608).
Le esigenze abitative e quelle commerciali
Un ultimo principio enunciato dalla giurisprudenza è quello della prevalenza delle esigenze abitative rispetto a quelle commerciali, quando un determinato uso delle parti comuni (o anche di quelle private) determina un contrasto fra di esse. È stato infatti deciso, in una situazione di immissioni di rumore provocate da una canna fumaria, che se il fabbricato non adempie ad una funzione uniforme e le unità immobiliari sono soggette a destinazioni differenti – allo stesso tempo ad abitazione e ad esercizio commerciale – il criterio dell’utilità sociale, a cui è informato l’articolo 844 del Codice civile impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed economica dei condomini, privilegiando, alla luce dei principi costituzionali (articoli 14, 31 e 47 della Costituzione) le esigenze personali di vita connesse all’abitazione, rispetto alle utilità meramente economiche inerenti all’esercizio di attività commerciali (Cassazione sentenza 15 marzo 1993, n. 3090).
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di Laura Capelli - dirigente Unai Bergamo