Condominio

Il distacco dal riscaldamento non esenta dalla «quota fissa»

di Valeria Sibilio

L'attuale momento di crisi economica spinge sempre più frequentemente i condòmini ad effettuare il «distacco» dal riscaldamento centralizzato per trarre benefici tangibili in termini di consumi e di efficienza. L'attuale sistema di riparto delle spese, tuttavia, ha reso il distacco una delle questioni più controverse nell'universo condominiale. Lo testimonia la sentenza 111 del 2019 del Tribunale di Savona nella quale una condòmina, proprietaria di tre appartamenti, due cantine ed un magazzino impugnava, tra le altre, la delibera condominiale del 27 luglio 2017 nella quale le si addebitavano spese di consumo del riscaldamento ed il compenso per l'ingegnere deputato all'accertamento di tali spese, nonostante ella avesse effettuato il distacco dall'impianto centralizzato, lamentando, inoltre, che la delibera fosse stata assunta senza rispettare il termine di convocazione di cinque giorni prima dell'assemblea.
Il condominio si costituiva in giudizio, evidenziando che la problematica era già stata affrontata in un altro giudizio, relativo all'impugnazione di altre delibere, all'esito del quale il Tribunale di Savona aveva riconosciuto la legittimità del criterio di riparto adottato dal condominio convenuto, sostenendo, inoltre, la tardività dell'impugnazione della delibera, dal momento che la stessa era stata proposta oltre i termini.
Nel condominio il riparto delle spese di riscaldamento avveniva per il 25% a quota fissa a carico di tutti i condòmini in ragione dei millesimi e per il 75% a quota variabile, secondo i consumi registrati dalle valvole termostatiche, così come indicato a verbale di assemblea del 27 luglio del 2013.
Alla condòmina in causa veniva addebitata unicamente la quota fissa. A prescindere dalla legittimità del distacco, contestata da parte del condominio, il riparto degli oneri di riscaldamento, nel caso di prelievi volontari, negli edifici condominiali in cui siano stati adottati sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore per ogni singola unità immobiliare, va fatto, per legge, in base al consumo effettivamente registrato. L'installazione di impianti di termoregolazione e contabilizzazione negli appartamenti condominiali, perciò, preclude l'applicazione del criterio proporzionale alternativamente stabilito dall'art. 1123, 1° e 2° comma, c.c. ed è legittimo che una quota dei consumi del riscaldamento venga addebitata in misura fissa.
In particolare, si deve distinguere tra consumi volontari e consumi involontari. I primi, addebitati a quota variabile, sono quelli dovuti all'azione volontaria dell'utente e vanno ripartiti in base ai consumi effettivi; i secondi, addebitati a quota fissa, sono quelli indipendenti dall'azione dell'utente e, cioè, legati principalmente alle dispersioni di calore della rete di distribuzione, ai consumi relativi alle parti comuni ed ai costi per la manutenzione e gestione dell'impianto.
L'art. 1118 c.c. consente al condomino di rinunciare all'utilizzo dell'impianto di riscaldamento, concorrendo unicamente alle spese di manutenzione straordinaria dell'impianto ed alle spese di conservazione e di messa a norma. Tuttavia, perché ciò avvenga, è necessario che dal distacco non derivino un notevole squilibrio di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condòmini. Per cui, dopo aver distaccato la propria unità abitativa dall'impianto di riscaldamento centralizzato, continuando a rimanere comproprietario dell'impianto centrale, il condòmino continua ad essere obbligato a sostenere gli oneri relativi alla manutenzione e all'adeguamento del bene stesso, salva la possibilità di esonero (con il consenso unanime di tutti i condòmini), e continua ad essere obbligato a partecipare alle spese di consumo del carburante o di esercizio se e nella misura in cui il distacco non ha comportato una diminuzione degli oneri del servizio a carico degli altri condòmini. Infatti, se il costo di esercizio dell'impianto, dopo il distacco, non è diminuito e se la quota non venisse posta a carico del condòmino distaccante, gli altri condòmini sarebbero aggravati nella loro posizione, dovendo farsi carico anche della quota spettante al condomino distaccato.
Perciò, anche il condòmino distaccato deve continuare a contribuire alle spese per i consumi involontari, dal momento che, altrimenti, vi sarebbe un incremento dei costi sostenuti dagli altri condòmini. Se essa non fosse posta a carico dei condòmini distaccatisi, gli altri vedrebbero, proprio per effetto del distacco, aumentare la spesa ordinaria di funzionamento dell'impianto.
Inoltre, una quota parte viene spesa solo per compensare le dissipazioni energetiche che sono inevitabilmente connesse al processo. Ed è appunto tale quota relativa che deve essere ripartita tra tutti i condòmini indipendentemente dall'effettivo utilizzo dell'impianto centralizzato. Operando diversamente si avrebbe un pregiudizio economico per i condòmini rimasti allacciati in quanto da un lato anche coloro che non scaldano la propria unità beneficiano di fatto degli effetti della dispersione del calore erogato nelle unità contigue e, d'altro lato, la messa ed il mantenimento in funzione dell'impianto centralizzato comporta l'immissione di acqua calda non solo nelle tubazioni e nei radiatori interni alle unità immobiliari ma anche nelle tubazioni comuni.
Per quanto riguarda le altre eccezioni inerenti la difformità della delibera in esame rispetto al regolamento assembleare, la percentuale di riparto delle spese a quota fissa e la mancata convocazione all'assemblea del condòmino, non sono state ritenute esaminabili. Riguardo la violazione del regolamento assembleare, questo prevede una percentuale di partecipazione alle spese condominiali della ricorrente maggiore in quanto la quota fissa è determinata in misura pari al 50%, con la conseguenza che la parte attrice non aveva alcun interesse a far valere tale motivo. Quanto agli altri motivi, causa di annullabilità, per essere esaminati, era, quindi, necessario che la delibera fosse stata impugnata nel termine di 30 giorni.
Il Tribunale ha, perciò, respinto le domande, condannando la condòmina a rifondere al condominio le spese di lite, liquidate in euro 4.270,00 per onorari oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

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