In condominio voci alte e mobili spostati non sono rumori molesti
La convivenza impone un livello minimo di tolleranza e solo quando si supera questa soglia si può parlare di illecito
Con la sentenza 31021 del 26 novembre 2025, la Cassazione ha respinto il ricorso dei proprietari di un appartamento collocato al piano inferiore, che lamentavano rumori provenienti dall’unità sovrastante, abitata da studenti. La pronuncia offre un chiarimento significativo in materia di immissioni acustiche e responsabilità nell’ambito condominiale perché, secondo quanto disposto dalla Suprema corte, «non sussiste il diritto al risarcimento del danno per i rumori prodotti dai vicini di notte ma del tutto compatibili con la vita condominiale» e risulta «rilevante la mancanza di prova dell’intollerabilità per voci, scrosci d’acqua e spostamento dei mobili anche intorno alla mezzanotte».
Necessaria l’intollerabilità oggettiva dei rumori
La Corte d’appello di Bologna (sentenza 2338/2019), poi confortata dalla pronuncia di legittimità, aveva valorizzato soprattutto il dato temporale evidenziando che «le segnalazioni dei rumori non rientravano nella nozione di tarda notte» e che «in quattro occasioni la chiamata della polizia municipale era avvenuta prima della mezzanotte, di cui due addirittura prima delle ore 23.00»
La Corte territoriale, inoltre, aveva valorizzato il dato per il quale i testimoni avevano riferito «vociare degli inquilini, scrosciare dell’acqua della doccia, spostamento di mobili», tutti elementi riconducibili alla quotidianità del vivere in una collettività condominiale. Il cuore della decisione, dunque, risiede nell’accertamento in fatto dell’assenza di superamento della soglia di normale tollerabilità, prevista dall’articolo 844 del Codice civile. Non basta che il rumore esista: occorre dimostrare che produca un pregiudizio concreto e oggettivo e non semplicemente un fastidio percepito in modo soggettivo, attraverso adeguata misurazione fonometrica.
In questo quadro, la Corte d’appello prima, la Suprema corte poi, hanno ritenuto che gli attori non avessero assolto l’onere probatorio, non avendo fornito la prova dell’intollerabilità delle immissioni sonore e di rumori idonei a causare un disagio secondo criteri oggettivi e non contestabili.
Il regolamento non basta
Altro aspetto affrontato dalla giudice di legittimità riguarda il rispetto del regolamento condominiale, in quanto i ricorrenti fondavano la loro azione sulla violazione delle norme interne del condominio, richiamando un articolo specifico che imponeva limiti più severi rispetto all’articolo 844 del Codice civile. La Cassazione ha disatteso l’assunto, precisando che questi limiti, per essere operativi, richiedono una prova altrettanto rigorosa del danno.
Nella sentenza si legge, infatti, che «gli originari attori non hanno mai allegato e provato che l’assemblea del condominio abbia individuato gli intervalli orari all’interno dei quali qualsivoglia disturbo sarebbe vietato a prescindere dal nocumento» e che, di conseguenza, non si poteva riconoscere un risarcimento sulla sola base della disciplina regolamentare, in assenza di un oggettivo pericolo di danno connesso ai rumori riscontrati.
Il collegio, inoltre, ha ribadito il principio secondo cui i regolamenti condominiali possono senz’altro fissare una soglia di tollerabilità più bassa, ma devono farlo in modo chiaro e specifico, in quanto il danno non patrimoniale è risarcibile solo se sussiste una lesione seria di un diritto della personalità (Cassazione, Sezioni unite, sentenza numero 21827/2019) e dovendosi, piuttosto, applicare, al contesto condominiale, il dovere di tolleranza che la convivenza impone (Cassazione, sentenza 31021/2025).
Osservazioni conclusive
Il principio affermato è netto: il condominio è un ambiente dove la convivenza impone un livello minimo di tolleranza e soltanto quando il rumore supera oggettivamente questo livello si può parlare di illecito civile, rilevante a fini risarcitori.







