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L’amministratore è legittimato a tutelare il credito condominiale anche tramite istanza di fallimento

Tra i suoi doveri rientra quello di agire per la riscossione forzosa delle somme dovute entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio, salvo esonero dell’assemblea

di Rosario Dolce

La domanda

La domanda
In caso di mancato pagamento delle spese condominiali per un importo ingente, con conseguente necessità di ripianare i debiti accumulati con sollecitudine per effetto della morosità e al fine di evitare danni più gravi per i condòmini esposti dal vincolo della solidarietà passiva, l’amministratore ha il potere di presentare in autonomia istanza di fallimento (avendo già decreto ingiuntivo esecutivo) senza passare per la delibera assembleare nella quale è difficile conseguire la maggioranza dei millesimi e nel quale il condòmino moroso detiene una quota importante anche se non è la maggioranza?

A cura di Smart24Condominio

Tra le attribuzioni dell’amministratore, a norma dell’articolo 1130 del Codice civile, vi è quella di procedere al recupero dei crediti condominiali. L’articolo 1129 del Codice civile segna poi il tempo in cui tale attribuzione deve essere esperita, assumendo che: «Salvo che sia stato espressamente dispensato dall’assemblea, l’amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell’articolo 63, primo comma, delle Disposizioni per l’attuazione del presente codice». Ergo, si ritiene che l’amministratore abbia la legittimazione di tutelare il credito condominiale – specie se già cristallizzato in un titolo esecutivo – anche attraverso il ricorso a una istanza di fallimento, nei confronti del debitore condominiale (in merito, vedi Corte di appello di Milano, sentenza 3255/ 2021).

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