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L’analisi - Cedolare secca: si applica anche quando il conduttore non è una persona fisica

L’ipotesi è vietata da due circolari delle Entrate, ma le sentenze delle commissioni tributarie vanno in senso contrario

di Luca Capodiferro - presidente Centro studi nazionale Confabitare

L'introduzione, nel 2011, della cedolare secca (che poi è, a tutti gli effetti, una flat tax) in materia di contratti di locazione ad uso abitativo non ha solo costituito una grande novità sotto il profilo fiscale, ma ha altresì consentito – grazie all'indubbio vantaggio in termini di minori tasse da pagare – di far emergere dal cosiddetto «mondo del nero» un'infinità di contratti che prima sfuggivano ai controlli. E tutto questo, pur con i limiti a mio avviso anche «costituzionali» di una norma decisamente discriminatoria fra Comuni che possono applicare l'aliquota al 10% e quelli che devono applicare quella al 21%.

Se a ciò si aggiunge, per i Comuni ad alta densità abitativa, la possibilità di associare all'aliquota bassa anche la riduzione Imu (pari al 25%), ecco che da un lato si è dato un vantaggio fiscale ai locatori e dall'altro uno economico ai conduttori, dato che la quasi totalità dei contratti sottoscritti hanno un canone «calmierato» inferiore - a volte di molto - a quello di mercato. E siccome – per una strana ed a volte irripetibile favorevole congiunzione astrale – nel nostro Paese può anche succedere che se una norma è fatta bene, a qualcuno venga in mente di estenderne la portata, ecco che si è per un anno sperimentato la cedolare secca sui contratti commerciali (pur con limiti comprensibili ma molto stringenti). Anche in questo caso con un importante riscontro da parte del «mercato».

Fatte queste considerazioni iniziali, al netto del fatto che non ho mai trovato convincenti i motivi che hanno indotto a togliere la cedolare secca sui contratti commerciali, va detto che i troppi «vuoti» della legge hanno dato spazio a coloro che, per motivi a volte davvero oscuri, hanno pensato bene di «togliere qua ed interpretare in modo molto restrittivo là». Anche in questi casi con buona pace di alcuni principi costituzionali.Ma tant'è.Poi, siccome nulla viene per caso, ecco che anche l'agenzia delle Entrate ha contribuito a fornire interpretazioni difformi che, nel caso oggetto del presente lavoro, vanno davvero al di là di quanto il legislatore ha inteso dire.

L’affitto a persona giuridica ma ad uso abitativo

Di cosa parlo?Dell'ipotesi in cui un locatore persona fisica (questo prevede la legge) affitta un contratto a canone concordato con cedolare secca ad un inquilino persona giuridica (questo la legge non lo vieta). E siccome per l'Agenzia evidentemente il principio che «tutto ciò che la legge non vieta espressamente si ha per ammesso» non conta, ecco che sorgono come i funghi i contenziosi tributari.Oramai da qualche anno, infatti, si susseguono le sentenze delle Commissioni Tributarie che, dando ragione al contribuente-locatore, censurano l'operato delle Entrate in tema di applicabilità o meno del regime opzionale della cedolare secca nei casi in cui il conduttore sia una persona giuridica che affitti, però, l'immobile per finalità abitative. Operato che, in modo del tutto unilaterale, ha inteso realizzare un'equiparazione giuridica e fiscale, tra locatore e conduttore, del tutto illegittima ed arbitraria, in quanto non prevista dal legislatore.

L'agenzia delle Entrate, basandosi su due circolari «interpretative» che essa stessa ha curato, la 26/E/2011 e la successiva 50/E/2019, ha iniziato ad effettuare i controlli sulla regolarità dei contratti di locazione sottoposti al regime della cedolare secca, emettendo avvisi di liquidazione nei confronti dei locatori per omesso versamento dell'imposta di registro ogni volta che il conduttore sia una persona giuridica e ciò a prescindere dall'effettiva destinazione d'uso dell'immobile locato. E poco importa, per l'Agenzia, che il locatore sia una persona fisica che rispetta tutti i parametri previsti dalla legge. Per capire perché il comportamento dell'Agenzia è, a mio avviso da ritenersi illegittimo sotto il profilo giuridico-fiscale, occorre partire dal dettato della legge introduttiva del regime della cedolare secca e passare poi all'esame delle due circolari interpretative richiamate.

L’origine della cedolare secca

Tutto origina dalle «Disposizioni in materia di Federalismo Fiscale Municipale» e, precisamente, dall'articolo 3 del Dlgs 14 marzo 2011 n° 23 che, a partire dal 2011, ha introdotto nell'ordinamento fiscale un nuovo regime «facoltativo» di tassazione dei redditi derivanti dalla locazione di immobili a destinazione abitativa e delle relative pertinenze. Si tratta, quindi di un regime opzionale, riservato solo alle persone fisiche che siano titolari del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento di immobili a destinazione residenziale, a condizione che i soggetti (la legge, si badi bene, parla solo dei locatori) non agiscano nell'esercizio di un'attività d'impresa o di arti e professioni.

Si tratta, in sostanza, di un sistema di tassazione facoltativo ed alternativo a quello ordinario la cui scelta esclude l'applicazione delle seguenti imposte:
•Irpef, che andrebbe applicata in base alle aliquote progressive suddivise per scaglione di reddito (con relative addizionali);
•Registro: che sarebbe dovuta sul contratto di locazione, di norma pari al 2% del canone pattuito in contratto;
•Bollo: pari ad euro 16 e che dovrebbe essere apposto ogni quattro pagine di contratto.

Tutte queste imposte, incluse il registro ed il bollo sulle risoluzioni o sulle proroghe del contratto, sono sostituite dalla cedolare secca.

L’esclusione dell’applicabilità alle persone giuridiche

La Circolare 26/E/2011 – nel valutare l'ambito applicativo della norma in esame – parla di una «riserva» a favore delle persone fisiche e ciò perché dall'assoggettamento del reddito derivante dalla locazione alla cedolare secca deriva l'obbligo - per il locatore - di considerare detto reddito anche ai fini della determinazione dell'imposta personale, sia in termini di riconoscimento dell'applicabilità o meno di possibili deduzioni e detrazioni fiscali, che di altri benefici, non necessariamente di natura tributaria. Per questo la cedolare secca è «preclusa» alle persone giuridiche, pur se concedano in affitto un immobile ad uso residenziale. La Circolare specifica, poi, quali siano gli immobili oggetto del regime facoltativo.

L'articolo 3 del Dlgs 23/2011 parla genericamente di «immobili abitativi» e, da ciò ne deriva, per l'agenzia delle Entrate, che il regime facoltativo e sostitutivo sia applicabile esclusivamente ai contratti di locazione aventi ad oggetto immobili censiti (o in corso di accatastamento) nel catasto fabbricati alla categoria «A» (fatta eccezione per gli A10 – cioè uffici e studi privati). Prevale, quindi, l'accatastamento rispetto all'effettiva destinazione d'uso voluta dalle parti firmatarie del contratto.E fin qui nulla da eccepire.La Circolare a questo punto entra, però, in un ambito delicato, con lo scopo, forse, di interpretare un punto controverso o ritenuto tale, ma nei fatti andando, a mio avviso, a «sostituirsi» al legislatore nel precludere alle parti del contratto quanto, invece, il legislatore non ha nemmeno preso in considerazione.

La lettura restrittiva delle Entrate

L'agenzia delle Entrate, infatti, ritiene che esulino dall'ambito di applicazione del regime della cedolare secca i contratti di locazione conclusi con conduttori che agiscano nell'esercizio di attività d'impresa o di lavoro autonomo, questo a prescindere ed indipendentemente dall'effettivo utilizzo dell'immobile per finalità abitative di dipendenti e collaboratori (i cosiddetti usi foresteria). Quindi, secondo questa «lettura restrittiva» effettuata dall'agenzia delle Entrate, non solo il locatore deve sempre essere persona fisica che opera al di fuori dell'attività d'impresa (ed è quello che dice la legge), l'oggetto contrattuale deve sempre essere un immobile ad uso residenziale (cioè in categoria A) ma anche il conduttore deve sempre essere soggetto che non agisce nell'esercizio di imprese, arti o professioni. Cosa che il legislatore, invece, non ha mai detto.

La cedolare secca nelle locazioni commerciali

Questa tesi viene ripresa nella successiva Circolare, la 50/E/2019, che riguardava l'applicazione della cedolare secca anche alle locazioni di immobili ad uso commerciale, quelli classificati, cioè, in categoria C1, di superficie fino a 600 metri quadrati, poi cancellata nella manovra di fine 2019 dal Governo Conte bis. La nuova Circolare ribadisce l'opinione dell'agenzia delle Entrate la quale, richiamando espressamente la Circolare 26, sostiene che sia necessario porre rilievo anche all'attività del conduttore, ribadendo l'esclusione della cedolare secca se questi esercita attività d'impresa, pur destinando l'immobile a residenza. Cosa, come detto, mai sostenuta dal legislatore.

Ma allora che valore hanno in concreto queste circolari?Di base altro non sono che «atti amministrativi a valenza interna», funzionali quindi all'attività interna alla Pubblica Amministrazione che, come tali, non sono vincolanti né per il contribuente né per il giudice e non costituiscono, in nessun caso, fonte del diritto. Questo perché, come più volte ribadito dalla Cassazione, l'Amministrazione finanziaria non ha poteri discrezionali nella determinazione o meno delle imposte dovute (così come nella determinazione dell'applicabilità o meno di un determinato regime fiscale). Costituiscono, al più, l'esternazione di un pensiero, un'interpretazione, un punto di vista, spesso operativo, dell'Amministrazione. Nella prassi questi atti servono spesso a «dettare» agli Uffici subordinati i criteri di comportamento nella gestione operativa e/o nella concreta applicazione di norme di legge, per i dipendenti certamente anche obbligatori, ma non possono imporre ai contribuenti nessun adempimento non previsto dalla legge né, soprattutto, attribuire all'inadempimento del contribuente alle prescrizioni di detti atti un effetto non previsto da una norma di legge.

Ed infatti, sono atti non impugnabili in sede contenziosa, in quanto appunto esprimenti un parere che, come tale, è appunto non vincolante. Da ciò deriva che non possono contenere disposizioni derogative a norme di legge, né essere considerate alla stregua di norme regolamentari vere e proprie, che, come tali vincolano tutti i soggetti dell'ordinamento, essendo dotate di efficacia esclusivamente interna all'ambito dell'amministrazione dalla quale sono emesse. In parole semplici le Circolari altro non sono che «istruzioni ad uso interno» che, in molti casi, sono utili anche per il contribuente che sceglie, spontaneamente, di applicarne consigli e suggerimenti operativi. Linee guida, quindi, raccomandazioni.

Le pronunce delle commissioni tributarie

E, invece, l'agenzia delle Entrate continua ad operare come se la Circolare 26/E/2011 fosse a tutti gli effetti una legge dello Stato. Sul punto ormai costante è la posizione delle Commissioni Tributarie. Se si analizzano alcune fra le principali sentenze delle Commissioni (fra le quali: Commissione tributaria provinciale Milano 17/04/2015 n. 3529 - Commissione tributaria regionale Lombardia, Sezione 19, 27/02/2017 n. 754 – Commissione tributaria provinciale Pavia 07/06/2018 n. 222 - Commissione tributaria provinciale Bari 05/04/2019 n. 825) si può notare come l'orientamento dei giudici sia ormai univoco.

Interessante, per tutte, la decisione della Commissione rributaria regionale Lombarda del 2017 che ha stabilito che: «Il locatore di immobili ad uso abitativo – se persona fisica che non agisce nell'esercizio di impresa, arte o professione, ai sensi dell'articolo 3 Dlgs 23/2011 – può optare per il regime fiscale agevolato della cosiddetta cedolare secca, a prescindere dal fatto che il conduttore sia persona fisica o società, nulla prescrivendo la citata norma sulla natura giuridica di quest'ultimo».Tale decisione ha confermato quella di primo grado, nella quale la Commissione provinciale milanese aveva accolto il ricorso della locatrice proprietaria dell'immobile ritenendo che, in quanto persona fisica, titolare del diritto di proprietà sull'immobile concesso in locazione, aveva legittimamente optato per il sistema della cedolare secca per la tassazione dei canoni derivanti da tale contratto di locazione.

Questo perché l'oggetto del contratto era un'unità immobiliare destinata ad uso abitativo, anche se il conduttore era rappresentato da una società che lo usava, però, per finalità residenziali e non commerciali.La Commissione regionale ha così ribadito che ai sensi dell'articolo 3 del DLgs 23, in via alternativa e facoltativa rispetto al regime ordinario vigente per la tassazione del reddito fondiario ai fini Irpef, il proprietario o il titolare di diritto reale di godimento di unità immobiliari abitative locate ad uso abitativo, che non agisca nell'esercizio d'impresa o di lavoro autonomo, può optare per il regime della cosiddetta cedolare secca, che prevede sostanzialmente un'imposta sostitutiva dell'Irpef e delle relative addizionali, nonché delle imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione, con aliquota del 21% o del 10% a seconda del tipo di contratto e/o del Comune ove è ubicato l'immobile.

Per quanto concerne il profilo del locatario, la norma non impone alcun vincolo particolare ai fini dell'accesso al regime agevolato. E se la legge nulla prevede, per casi simili, in capo al conduttore, significa che questo tipo di opzione era ed è perfettamente legittima ed ammissibile, non potendo una circolare amministrativa integrare o modificare una norma di legge (addirittura in molti casi con effetto retroattivo), tanto più se, come nel caso delle leggi tributarie, vige una riserva di legge – inserita nella Costituzione – che prevede che la disciplina di determinate materie sia regolata soltanto da fonti di legge primaria (leggi dello Stato) e non da fonti di tipo secondario, a maggior ragione quando non sono nemmeno fonti, ma semplici atti amministrativi ad indirizzo interno.

Conclusioni

Quindi, in conclusione, l'operato dell'Agenzia, come le pronunce richiamate dimostrano, in questi casi produce atti nulli perché contrari a norme di legge, con l'unico rammarico del fatto - ad oggi non ancora superato - della compensazione delle spese legali di causa. I giudici tributari, infatti, ritenendo evidentemente «delicata» la questione, hanno quasi sempre preferito non condannare l'Agenzia al pagamento delle spese di lite, così danneggiando due volte il contribuente.Anche questa decisione – quella sulle spese – non è propriamente in sintonia con lo spirito dello Statuto dei diritti del contribuente.Forse, da parte delle Commissioni Tributarie, ci vorrebbe maggiore coraggio. Vedremo se l'avranno – una volta a regime – i nuovi magistrati tributari togati introdotti dalla riforma del processo tributario.