Condominio

L’esecutore di opere pericolose nella sua proprietà è responsabile di omicidio e lesioni degli altri condòmini

La cattiva scelta dell’impresa e la violazione del principio di non lesività ne determinano la responsabilità in quanto committente

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di Giulio Benedetti

Il condòmino, nella sua proprietà, può eseguire opere edilizie a condizione che non mettano in pericolo la staticità dell’edificio e l’incolumità degli abitanti.

Il caso

La Corte di appello confermava la sentenza che aveva condannato, per il reato di omicidio e lesioni colpose - che dichiarava prescritti, mantenendo la responsabilità civile nei confronti delle parti civili - il proprietario di un appartamento, al cui interno aveva eseguito opere di ristrutturazione edilizia che provocavano l’instabilità dell’edificio e le aveva proseguite (nonostante l’ordine di sospensione del Sindaco), provocando in tal modo il crollo del condominio e cagionando le lesioni gravi e la morte di due condòmini.

Il giudice di appello contestava al proprietario una serie profili di colpa: gli attribuiva la responsabilità di aver scelto un’impresa esecutrice dei lavori priva di affidabilità, di aver omesso di intervenire, nonostante le numerose segnalazioni dei condòmini, sull’insorgenza di una serie di lesioni estese sui muri portanti e di non aver interrotto la prosecuzione dei lavori, prima di comprendere cosa fosse successo. Il condannato ricorreva al giudice di legittimità, lamentando l’ingiustizia della sentenza perché aveva stabilito la sua responsabilità nonostante non fosse responsabile dell’esecuzione dei lavori e perché aveva riconosciuto l’aggravante della colpa cosciente.

Le ragioni alla base del giudizio di legittimità

Con la sentenza 23719/2023 , la Cassazione rigettava il ricorso del proprietario, che condannava al pagamento delle spese processuali e delle spese di giudizio delle parti civili, per le seguenti ragioni:

a) non doveva essere dichiarata l’assoluzione del ricorrente sulla base dell’accertamento dei suoi profili di responsabilità, come ricostruiti dal giudice di appello;

b) il giudice di appello ha accertato che l’imputato era il committente dei lavori ed era spesso presente durante la loro esecuzione, era a conoscenza dello stato dei luoghi e della situazione di dissesto strutturale dell’edificio e condivideva le scelte operative di intervento, con la volontà di modificare la destinazione dei locali per destinarli ad una funzione commerciale;

c) la sentenza accertava che il condannato avesse ordinato la prosecuzione dei lavori, nonostante le lamentele dei condòmini e delle lesioni sulle pareti dell’immobile e affidato l’esecuzione dei lavori a un’impresa priva delle necessarie competenze tecniche;

d) per gli articoli 2043 e 2015 del Codice civile, la Cassazione condivideva l’affermazione della responsabilità civile del condannato nella sua qualità di committente, riconducibile alla cattiva scelta dell’impresa esecutrice e alla violazione del principio di non lesività, nonostante le avvisaglie delle lesioni dell’edificio, rappresentate dai condòmini, di cui l’imputato era a conoscenza;

e) la sentenza segue l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità (sentenza 7553/2021) la quale afferma che, nel contratto di appalto, la consegna del bene all’appaltatore non fa venire meno il dovere di custodia e di vigilanza gravante sul committente. Per cui lo stesso, per l’articolo 2051 del Codice civile , resta responsabile dei danni cagionati a terzi dall’esecuzione dell’opera, salvo che provi il caso fortuito. Lo stesso è un limite alla responsabilità oggettiva e può consistere non automaticamente con l’inadempimento degli obblighi contrattualmente assunti nei confronti del committente, ma in una condotta dell’appaltatore imprevedibile e inevitabile, nonostante il costante e adeguato controllo;

f) la dichiarazione di prescrizione dei reati assorbe il motivo dell’erronea contestazione dell’aggravante della colpa cosciente.

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