Condominio

L'obbligo di tentare la composizione amichevole della lite previsto nel regolamento di condominio

Certamente non introduce una forma di arbitrato ma solo un temporaneo e breve differimento fino a quando il tentativo non avrà sortito esito negativo

di Fulvio Pironti

Tramite clausola contenuta nel regolamento di condominio le parti subordinano l’introduzione della domanda giudiziale al previo esperimento dell’amichevole tentativo conciliatorio. La convenzione obbliga i contraenti (ossia gli acquirenti dei cespiti immobiliari) vincolando il diritto di ognuno ad agire in giudizio solo dopo aver tentato invano la conciliazione. La prassi (peraltro risalente e contrassegnata da meritorie mire deflattive) di includerle nei regolamenti di condominio di formazione contrattuale preconizza l’avvento delle politiche giudiziarie sfociate con l’introduzione delle note soluzioni alternative alle controversie.

La clausola conciliativa differisce l’azione giudiziale

Una clausola regolamentare conciliativa non può mai precludere l’esercizio dell’azione giudiziaria. Tuttavia, nulla impedisce che la stessa differisca temporalmente l’esercizio dell’azione subordinandola all’infruttuoso esperimento dell’amichevole tentativo conciliativo. Ebbene, se la legge ordinaria è fonte idonea per istituire tentativi obbligatori conciliativi, anche il contratto, proprio perché fra le parti acquista forza di legge, deve reputarsi fonte del diritto altrettanto idonea a imporre validi obblighi. È importante rimarcare l’attenzione su un tale aspetto in quanto è sistematicamente trascurato dalla giurisprudenza di legittimità. La clausola conciliativa contrattuale non preclude l’avvio dell’azione, per cui deve considerarsi legittima la previsione regolamentare contrattuale che differisca temporalmente (dunque, posticipi solamente) l’esercizio dell’azione giudiziaria subordinandola all’esito infruttuoso dell’esperito tentativo conciliatorio.

D’altronde, giova sottolinearlo, non implica, diversamente dalle forme arbitrali, rinuncia definitiva al contenzioso. Al contrario, comporta solo un temporaneo e breve differimento cronologico. Pertanto, laddove il tentativo conciliativo contrattuale, reso obbligatorio dalla vincolante pattuizione regolamentare plurisoggettiva, venga disatteso dal condominio o dal condomino prima di adire l’autorità giudiziaria, il giudicante deve dichiarare l’improponibilità o l’improcedibilità (quindi, definendo il giudizio con una pronuncia in rito o demandando le parti in conciliazione per poi riprendere il giudizio all’esito infruttuoso).

Dalla clausola conciliativa all’istituto mediatorio

La clausola conciliativa è quella con cui le parti hanno previsto - tramite l’inserimento in un regolamento di condominio dall’inequivocabile natura contrattuale, volto perciò a incidere con un complesso di disposizioni vincolanti - l’obbligo di esperire il tentativo di composizione di tutte le nascenti controversie prima di adire l’autorità giudiziaria. Rientra nel novero degli istituti di diritto sostanziale che prevedono una temporanea o condizionata impossibilità per le parti di agire in giudizio. Sovente i regolamenti condominiali contrattuali, perlopiù quelli formati ed entrati in uso nell’arco temporale che si estende dagli anni Venti ai Settanta, contemplano la seguente clausola rubricata sotto il titolo di «vertenze - conciliazione» dal seguente tenore: «Insorgendo vertenze o dissidi fra condòmini, ovvero fra questi e l’amministratore, ciascuna parte interessata dovrà rivolgersi all’associazione della proprietà edilizia per tentare un componimento prima di adire l’autorità giudiziaria».

Si potrebbe quasi sostenere che la clausola conciliativa sia il prototipo dell’odierno istituto mediatorio. Perciò, in presenza di nascenti controversie fra condòmini (o fra questi e l’amministratore), ciascuna parte interessata non può adire l’autorità giudiziale prima di essersi rivolta alla locale associazione territoriale dei proprietari di case (tuttora esistente) per tentare una bonaria composizione.

La forza vincolante della convenzione regolamentare plurisoggettiva

Se, da un canto, la legge è considerata fonte idonea per introdurre tentativi obbligatori di conciliazione, dall’altro, anche la convenzione regolamentare contrattuale - dunque, il contratto plurisoggettivo - essendo destinata a esprimere fra le parti co-obbligate efficacia e forza vincolante, deve essere ritenuta fonte del diritto egualmente valida. L’articolo 1372 del Codice civile, applicabile alla clausola conciliativa condominiale, stabilisce che «il contratto ha forza di legge fra le parti». Si tratta di un riconoscimento esplicito suggellato dal legislatore per cui i contratti hanno giuridica efficacia e determinano obbligazioni altrettanto vincolative quanto quelle che scaturiscono dalla legge. Esistono come fatti giuridici di fronte a tutti e come tali devono essere presi in adeguata considerazione anche dal magistrato chiamato a vagliarli.

Tali princìpi si agganciano all’autonomia negoziale privata (nel caso di condomìni, collettiva), ossia al potere dei privati di regolare liberamente i propri interessi e decidere della propria sfera giuridica nel rispetto dei limiti e obblighi previsti dall'ordinamento. L'articolo 1322, comma 2, Codice civile, poi, riconosce ai contraenti la possibilità di disciplinare la propria sfera giuridica ricorrendo anche all'uso di forme atipiche (il tentativo di amichevole composizione della nascente vertenza è senz'altro atipico, mentre l'arbitrato è tipico perché espressione normata). Il mancato rispetto, come il radicamento di un giudizio senza aver prima tentato l’amichevole composizione, deve comportare l’improponibilità o l'improcedibilità della domanda.

Se si viola l’intesa di mediazione

Dalla violazione di un patto conciliativo devono necessariamente discendere conseguenze giuridiche negative. Sostenere il contrario, mortificherebbe la portata vincolante della clausola conciliativa e la forza coercitiva negoziale plurisoggettiva impressa tramite l’introduzione e la espressa accettazione dei contraenti coobbligati. Solo dopo aver esperito infruttuosamente il tentativo amichevole di componimento della nascente controversia, le parti saranno pienamente legittimate ad incardinare l’azione giudiziale.L’improponibilità e l'improcedibilità ricorrono nel caso in cui la domanda giudiziale non sia stata preceduta dall'obbligatorio tentativo di conciliazione. Per le questioni sorte precedentemente al varo dell'istituto mediatorio, nessun termine per sanare o regolarizzare l’omesso tentativo di componimento poteva essere accordato dal decidente il quale si sarebbe dovuto limitare ad emettere una pronuncia squisitamente processuale conchiudendo la controversia.

Conseguenze della omessa conciliazione

È interessante notare il perimetro degli elementi differenziali e conseguenze derivanti dalla improponibilità e improcedibilità della domanda giudiziale nel caso di omesso avvio del procedimento conciliativo reso obbligatorio dall'autonomia contrattuale privata o da un assetto normativo. Un indirizzo ritiene che il previo avvio della procedura obbligatoria conciliativa integri una condizione di proponibilità della successiva azione giudiziale (Cassazione 17480/2015 e 24334/2008) mentre altro orientamento ribadisce trattarsi di condizione di procedibilità (Cassazione 26913/2018 e 14103/2011). Parte della giurisprudenza ritiene che l'omesso avvio della procedura conciliativa obbligatoria prima di iniziare il giudizio rappresenti un vizio insanabile che comporta la conclusiva dichiarazione di improponibilità della domanda.

Altro filone giurisprudenziale, asserisce che integra una condizione di improcedibilità la cui conseguenza è l'arresto del procedimento (che, tuttavia, su impulso di parte potrà riprendere). Dunque, si tratterà di vizio insanabile, rilevabile in ogni stato e grado del processo, tale da costituire una soluzione drastica in considerazione degli interessi sostanziali in gioco, nel caso della improponibilità. È, invece, un arresto momentaneo del processo, rilevabile dalle parti e anche dal giudice non oltre la prima udienza, nel caso della improcedibilità, perciò volto a non precludere lo svolgimento del giudizio.

Assetto giurisprudenziale di merito

Le pronunce di merito che seguono - i cui princìpi sono applicabili alle clausole conciliative contemplate nei regolamenti di condominio - sono orientate ad esaurire il giudizio con il suggello della dichiarazione di improponibilità o improcedibilità. La giurisprudenza più recente ha chiarito che «è improcedibile la domanda giudiziale per mancato esperimento del tentativo di conciliazione concordato in un contratto dovendo ritenersi nella disponibilità delle parti la subordinazione della lite alla previa sottoposizione del rapporto controverso ad un terzo» (Tribunale Roma 20690/2017). Restituendo piena validità e operatività al patto conciliativo, la curia capitolina ha ribadito che esso non lede né comprime il diritto di difesa essendo destinato solo a differirlo temporalmente.

Ancòra, si è sostenuto che «l’inosservanza di una clausola contrattuale che obblighi le parti, prima di promuovere l’azione giudiziaria, ad esperire un tentativo di amichevole componimento della lite determina l’improponibilità della domanda» (Tribunale Roma 32134/2000). Con specifico riguardo al decreto monitorio, si è precisato che «qualora tra le parti sia stata stipulata una clausola che prevede in caso di controversia il preventivo esperimento del tentativo di conciliazione, diventa improponibile il ricorso monitorio promosso in violazione della stessa e conseguentemente va revocato il decreto ingiuntivo» (Tribunale Verona 6 aprile 2016). Assodato, dunque, che la clausola conciliativa contrattuale non vanifica e tantomeno preclude l’avvio dell’azione giudiziale, deve considerarsi legittima la previsione regolamentare che differisca temporalmente l’esercizio dell’azione giudiziale subordinandola all’esperimento del tentativo conciliatorio.

La sospensione del giudizio

I richiamati pronunciati sono orientati ad esaurire il giudizio con il suggello della dichiarazione di improcedibilità o improponibilità. Tuttavia, non può sottacersi che l’articolo 5 Dlgs 28/2010 prevede la sospensione del giudizio da parte del giudice per rinviare le parti ad esperire l’omesso tentativo conciliativo. La normativa mediatoria ha disciplinato e assorbito le fattispecie riguardanti accordi conciliativi derivanti da contratti, statuti e atti costitutivi. In tale elencazione, assolutamente priva di tassatività, potrebbero agevolmente rientrarvi anche i regolamenti condominiali nel cui seno siano state inserite clausole conciliative.

Assetto giurisprudenziale di legittimità

Al contrario, la giurisprudenza della Suprema corte sposa la nozione di procedibilità (conseguenza sanzionatoria del comportamento procedurale omissivo scaturente dal mancato compimento di un atto espressamente configurato come necessario per dare avvio al processo). Ritiene che la condizione di procedibilità, per essere valutata in sede giudiziale, debba essere espressamente prevista. Dunque, le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all’esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall’articolo 24 Costituzione, non possono essere interpretate in senso estensivo (Cassazione 967/2004).Ritiene altresì che la clausola del regolamento di condominio (prevedente per i casi di contrasto fra condòmini, l’obbligo di esperire il tentativo di amichevole composizione della lite) non integra una clausola compromissoria sicché da essa non deriva alcuna preclusione all’esercizio dell’azione giudiziaria poiché i presupposti processuali per la validità del procedimento sono stabiliti nel pubblico interesse e possono trovare il loro fondamento soltanto nella legge e non nella autonomia privata (Cassazione 5985/1979).

In definitiva, la clausola con cui si prevede che, prima di adire l’autorità giudiziaria, le parti debbano rivolgersi all’associazione della proprietà edilizia per tentare un componimento amichevole, oltre a non introdurre alcun arbitrato, è inidonea a comportare una convenzionale rinuncia all’azione giudiziaria.Altro indirizzo asserisce che la clausola conciliativa non comporti rinuncia alla tutela giurisdizionale per cui l’omesso esperimento del tentativo conciliatorio non frappone ostacoli alla proponibilità e procedibilità della azione giudiziale incidendo solo sul diritto ad un eventuale risarcimento del danno a carico della parte irrispettosa dell’obbligo consacrato nel regolamento (Cassazione 28402/2008, n. 8983/1987, n. 388/1977).

Non trattasi di mero differimento dell’azione

Quindi, nel caso in cui un condomino, nonostante l’obbligo di promuovere il tentativo di conciliazione, incardini la controversia infrangendo il vincolo regolamentare, l’azione non potrà considerarsi inammissibile in quanto i presupposti processuali per la validità del procedimento trarrebbero fondamento nella legge e non nell’autonomia privata. Sostiene, inoltre, che è assente il carattere vincolante nelle clausole di conciliazione se non sotto il profilo del diritto della parte adempiente a vedersi riconoscere un generico risarcimento del danno. Soggiunge, infine, che «subordinare l’esperibilità dell’azione all’infruttuoso esperimento del tentativo di conciliazione non comporta un mero differimento, ma una invalicabile preclusione all’azione destinata a durare fino all’esperimento di detto esperimento e quindi (eventualmente) per sempre in mancanza del medesimo» (è il caso di omettere ogni commento in relazione al differimento ingiustificatamente estremizzato ad una «invalicabile preclusione»).

La pronuncia più recente

Più recentemente la Suprema corte (4711/2022) ha dichiarato infondato il motivo di ricorso teso a dedurre la nullità della sentenza d’appello per violazione della clausola conciliativa espressa dal regolamento contrattuale di condominio. La corte territoriale non aveva dichiarato l’improcedibilità o l'improponibilità della domanda per l'omesso esperimento del tentativo di conciliazione presso l'associazione della proprietà edilizia. Per chiarezza, va rammentato che il regolamento era stato formato negli anni Cinquanta e l'azione, proposta dal condominio contro un condomino, era stata incardinata prima della normativa sulla mediazione.

Sposando un indirizzo giurisprudenziale, peraltro datato e ante-mediazione (Cassazione 5985/1979), la Cassazione ribadisce che «la clausola del regolamento di condominio che, per i casi di contrasto tra condòmini, prevede l’obbligo di esperire il tentativo di amichevole composizione della lite, non integra una clausola compromissoria sicché da essa non può derivare alcuna preclusione all’esercizio dell’azione giudiziaria, giacché i presupposti processuali per la validità del procedimento sono stabiliti nel pubblico interesse e possono trovare il loro fondamento soltanto nella legge e non nella autonomia privata». In estrema sintesi, la corte distrettuale, nell’interpretazione del regolamento contrattuale ha ritenuto che la clausola regolamentare non introduce una forma di arbitrato sicché è inidonea a comportare una convenzionale rinuncia all’azione giudiziaria.

La Cassazione ha confermato tale inquadramento asserendo che l’obbligo di esperire il tentativo di amichevole composizione della lite non integra una clausola compromissoria. Ha asserito, perciò, che da essa non deriva alcuna preclusione all’esercizio dell’azione giudiziaria in quanto i presupposti processuali per la validità del procedimento trovano il loro fondamento soltanto nella legge e non nell’autonomia privata.

Considerazioni conclusive

Ferme le superiori riflessioni snocciolate, l'assunto non sembra cogliere nel segno perché edificato su presupposti inconferenti. È incontestabile che la clausola conciliativa inclusa in un regolamento contrattuale non costituisca alcuna forma di arbitrato, né la stessa risulti tipizzata normativamente. Va evidenziato, però, che rientra nella disponibilità delle parti la subordinazione della lite alla previa sottoposizione del rapporto controverso ad un terzo (amichevole compositore). La violazione di siffatto passaggio obbligatorio deve condurre, laddove eccepito o rilevato, alla improponibilità o improcedibilità dell'azione.Le clausole conciliative - dato, questo, imprescindibile - non comportano rinuncia all'azione, ma solo un temporaneo e breve differimento fino a quando il tentativo non avrà sortito esito negativo.

Ne discende che, non essendovi alcuna preclusione all'azione, il decidente non può disconoscere e surclassare discrezionalmente la forza vincolante contrattuale espressa dalla pattuizione, peraltro certificata dal principio espresso dall'articolo 1374 Codice civile, né ignorare i cardini supremi che legittimano e tutelano l'autonomia negoziale privata. Dunque, i presupposti processuali per la validità del procedimento possono trovare, ad avviso dello scrivente, il loro fondamento non solo nella legge, ma anche nell’autonomia privata. Si auspica una rimeditazione da parte degli ermellini.

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