La divisione ereditaria della comunione fa nascere un condominio minimo
Pertanto per richiedere la divisione di alcune delle parti comuni è necessario il consenso dell’altro condomino
A seguito dello scioglimento di una comunione ereditaria di un complesso immobiliare, uno dei partecipanti ha chiesto, in via giudiziale, la divisione sia del cortile antistante le unità immobiliari, sia del sottotetto dell'edificio, entrambi in comproprietà con la sorella, la quale si è opposta deducendo la sussistenza, nella fattispecie, di un condominio minimo con conseguente natura di parti comuni dell'edificio dei luoghi cui si è chiesta la divisione, in ossequio al disposto dell'articolo 1117 Codice civile: nel caso di specie, quindi, il Tribunale di Busto Arsizio, con sentenza 242/2020, ha dovuto verificare ed individuare la presenza o meno di un condominio, seppur minimo.
L'area pertinenziale descritta in atto pubblico
L'osservazione del giudicante è partita dall'origine dei diritti di proprietà esclusivi delle parti, ovvero l'atto di scioglimento della comunione ereditaria dapprima esistente sulle due unità immobiliari, mediante reciproche cessioni di quote e acquisto di quelle degli altri comunisti: in tale atto era previsto che ciascuna delle odierne parti acquistasse, oltre alla piena proprietà delle rispettive unità immobiliari, anche una quota di comproprietà indivisa in ragione di un mezzo dell'area cortile; inoltre, nella descrizione di entrambe le unità immobiliari, vi era l'espressa specificazione circa il fatto che alle stesse fosse annessa la predetta area, espressamente definita come area pertinenziale.
Il condominio come forma particolare di comunione
Sul punto,va ricordato che il condominio degli edifici - seppur minimo - costituisce una specie del genere comunione e cioè un tipo di comproprietà contrassegnato dalla peculiarità dell'oggetto, consistente in una relazione strumentale di accessorietà tra le cose ed impianti e servizi comuni - che del condominio formano l'oggetto - e le unità abitative in proprietà individuale.
Il condominio è definito, infatti, come una forma particolare di comunione (detta forzosa) nella quale, al fianco di parti dello stabile di proprietà esclusiva (le cosiddette unità immobiliari), sussistono parti di proprietà comune. In sostanza, per aversi un condominio tra edifici, occorre che vi siano almeno due soggetti titolari ciascuno di proprietà esclusive che condividono parti comuni materialmente necessarie per l'esistenza o per l'uso, ovvero destinate per la funzione all'uso o al servizio delle singole unità immobiliari.
Qualora, invece, la proprietà o altro diritto reale spetti in comune a più persone si ricade nell'ipotesi di comunione nell'accezione sancita dall'articolo 1100 Codice civile: a caratterizzare la comunione non è, peraltro, la fonte del godimento (reale o personale), ma la contitolarità del diritto in capo a più persone della proprietà e/o del godimento stesso.
Le pronunce in merito
La differenza tra i due istituti è perfettamente sintetizzata in una pronuncia della Suprema corte di Cassazione civile a sezioni unite, la numero 2046 del 31 gennaio 2006, laddove si afferma che «la specifica fisionomia giuridica del condominio negli edifici - la tipicità, che distingue l'istituto dalla comunione di propriet à in generale dalle altre formazioni sociali di tipo associativo - si fonda sulla relazione che, nel fabbricato, lega i beni propri e comuni, riflettendosi sui diritti, dei quali i beni formano oggetto (la proprietà esclusiva e il condominio). Le norme dettate dagli articoli 1117 e 1139 Codice civile si applicano all'edificio, nel quale più piani o porzioni di piano, appartengono in proprietà solitaria a persone diverse e un certo numero di cose, impianti e servizi di uso comune, sono legati alle unità abitative dalla relazione di accessorietà».
La presunzione di condominialità
Nel caso di specie, nell'atto di divisione e contestuale cessione/acquisto di quote, le parti avevano distintamente attribuito la comproprietà indivisa in ragione di un mezzo nel vano scala comune situato al pian terreno e negli altri luoghi, vani spazi, enti e servizi comuni del fabbricato, nonché nell'area cortilizia: dal tenore testuale dell'atto, emergeva chiaramente, quindi, come le parti avessero qualificato il cortile al pari degli altri spazi e servizi comuni del fabbricato, così espressamente confermando la presunzione di condominialità, prevista all'articolo 1117 Codice civile per i cortili e le aree destinate a parcheggio.
Tale norma – così come novellata dalla legge di riforma 220 del 2012 - stabilisce, infatti, che sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio se non risulta il contrario dal titolo: 1) i cortili; 2) le aree destinate a parcheggio. Del resto, come più volte affermato dalla Cassazione, in caso di edificio costruito da più soggetti su suolo comune, il condominio insorge al momento in cui avviene l'assegnazione in proprietà esclusiva dei singoli appartamenti; per effetto di tale assegnazione si origina, altresì, la presunzione legale di comunione “pro indiviso” di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano, in quel momento, destinate all'uso comune, ovvero a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che dal titolo non risulti, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di dette parti e dì escluderne gli altri (Cassazione, ordinanza 5335 del 2 marzo 2017).
Il cortile
Con preciso riguardo al cortile, la giurisprudenza ha affermato che esso rientra nella previsione di bene comune di cui all'articolo 1117 Codice Civile, a nulla rilevando che si trovi in posizione esterna al condominio, risultando comunque funzionale per consentirvi l'accesso, e destinato a dare aria e luce allo stesso edificio condominiale: pertanto, l'utilizzo del cortile condominiale da parte di un singolo condomino non può spingersi fino ad impedire un pari uso della stessa area da parte degli altri condomini, attraverso la sua stabile occupazione e delimitazione con opere che, di fatto, ne impediscano l'uso comune, le quali, se realizzate vanno rimosse (Corte appello Genova, 214 del 7 febbraio 2018).
Il condominio minimo
In applicazione dei predetti principi si è, pertanto, ritenuto che l'acquisto della proprietà esclusiva delle singole unità abitative in capo alle parti (già comproprietarie di porzione delle stesse in forza di comunione ereditaria), ha determinato la nascita di un condominio minimo, al quale applicarsi la relativa disciplina rappresentando, come detto, il condominio una sottospecie del più ampio genere comunione.
Tale conclusione è, del resto, confermata dal fatto che nell'atto in esame le parti avevano espressamente previsto che il cortile «segue e compete» alle rispettive unità immobiliari, in tal modo richiamando la sorte della proprietà dei beni condominiali che segue, appunto, quella delle unità di proprietà esclusiva, stante il carattere di accessorietà dei medesimi; dalla premessa discende l'applicazione del principio di cui all'articolo 1119 Codice civile, per il quale le parti comuni dell'edificio non sono soggette a divisione, a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino e con il consenso di tutti i partecipanti al condominio.
La necessità del consenso unanime di tutti i condomini, quale condizione di liceità dell'eccezionale divisione delle parti comuni - nella disciplina antecedente la legge 220/2012 implicitamente desumibile dai limiti posti dall'articolo 61 disposizioni attuative del Codice civile con riguardo alla delibera di scioglimento – è stata peraltro oggetto di specifica statuizione da parte del legislatore della riforma, che ha espressamente indicato tale presupposto ai fini della divisibilità delle parti comuni, inserendolo appunto nel già visto disposto dell'articolo 1119 Codice civile.
La divisione può avvenire solo con il consenso
Per queste ragioni, in assenza del consenso da parte dell'altro condomino, ovvero la convenuta in causa, circa la divisibilità dell'area cortile, come detto di natura condominiale, la domanda di divisione della stessa è stata respinta. Alle medesime conclusioni si è giunti con riguardo alla domanda di divisione del sottotetto, circa la cui natura parte attrice nulla aveva dedotto, anche se, nella stessa perizia di parte allegata all'atto di citazione, detto bene era stato indicato come rientrante tra quelli comuni ai sensi dell'articolo 1117 Codice civile.
Secondo la consolidata interpretazione della Suprema corte, sono comunque oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, agli effetti dell'articolo 1117 Codice civile i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune (Cassazione 3627/2018; Cassazione 6314/2017; Cassazione 23902/2016; Cassazione 6143/2016; Cassazione 8968/2002; Cassazione 7764/1999). Pertanto, non avendo parte attrice offerto alcun argomento volto a superare la predetta presunzione, anche la domanda di divisione del sottotetto è stata rigettata, stante l'assenza del consenso unanime dei condomini alla divisione dello stesso ai sensi dell'articolo 1119 Codice civile.
Le domande subordinate
L'attrice aveva proposto anche domanda di accertamento del proprio diritto di utilizzo esclusivo della zona antistante la propria unità abitativa e di assegnazione in via esclusiva di porzione del cortile, per realizzarvi dei parcheggi auto scoperti, nonché di regolamentazione dell'uso e del godimento di detti beni, mediante nomina di un amministratore, cui conferire poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, compresa la predisposizione di apposito regolamento condominiale: domande tutte ritenute proceduralmente nuove e, come tali, inammissibili, ma comunque, in ogni caso, infondate anche nel merito.
Come visto, infatti, la presunzione di condominialità delle parti comuni può essere superata solo se diversamente risulti dal titolo: al momento di costituzione del condominio, coincidente con la prima vendita di una singola unità immobiliare da parte dell'originario proprietario in virtù di clausole contenute nel relativo atto, anche mediante eventuale richiamo di un previo regolamento di condominio, è lasciata all'autonomia delle parti la possibilità di sottrarre (totalmente) alla presunzione di comunione di cui all'articolo 1117 Codice civile alcune delle parti altrimenti comuni.
Inoltre, l'articolo 1118 Codice civile ammette anche la possibilità che il titolo possa modificare il criterio di proporzionale dei diritti dei partecipanti sulle cose comuni. Pertanto, se è possibile escludere totalmente e completamente alcuni beni dal condominio ai sensi dell'articolo 1117 Codice civile, è altresì consentito che nella medesima sede costitutiva del condominio sia attribuito l'uso esclusivo su una parte (o su un intero) bene condominiale in favore di uno o più condomini.
A tal fine è, pertanto, indispensabile una apposita previsione contenuta nell'atto negoziale, non essendo consentito realizzare il medesimo effetto mediante un'iniziativa unilaterale del singolo condomino o una delibera assembleare né, tantomeno, mediante una pronuncia giudiziale. E' stata infine dichiarata inammissibile la domanda di nomina di un amministratore di condominio: oltre alla totale novità della stessa, tale domanda avrebbe dovuto essere proposta mediante ricorso al presidente del Tribunale del luogo dove si trovano i beni comuni, essendo assoggettata al rito camerale di cui agli articoli 737 e seguenti del Codice di procedura civile.