Condominio

La domanda di data center sale nonostante i rincari energetici

di Laura Cavestri

Cuore pulsante di qualunque business – manifatturiero o di servizi – i data center hanno bisogno di infrastrutture capillarmente distribuite. Restano un asset di nicchia, in Italia ne abbiamo molti meno di Regno Unito, Germania e Francia, con un gap da colmare che attrae sempre più l’interesse degli investitori. L’asset è anche altamente energivoro. Un report 2020 della Commissione Ue identifica il consumo in Kwh cresciuto di quasi il 42% tra il 2010 e il 2018, pari al 2,8% di tutta la domanda energetica della regione.

Ma che tipo di impatto avrà l’impennata dei costi dell’energia sugli investimenti, i rendimenti e gli sviluppi di questa asset class?

«Prima la pandemia, poi la guerra in Ucraina hanno avuto un pesante impatto sul settore – ha spiegato Emmanuel Becker, managing director Italy di Equinix –. La prima ha aumentato la mole di dati e il fabbisogno di potenza. La seconda ha indotto gli operatori a trasferire i dati verso data center e strutture più “sicure” e lontano dalle zone di tensione. Madrid e Milano sono i nuovi poli emergenti. L’hub digitale di Equinix e Vodafone a Genova collega, attraverso cavi sottomarini, l’Italia all’Africa e al Medio Oriente, sino a Mumbay. Milano ha assunto una centralità strategica per agganciare sud del mondo e nord Europa. Ecco perché il business continuerà a crescere. Gli operatori sono disposti a pagare di più l’energia (entro un certo limite), ma sono ancor più preoccupati dalla disponibilità della stessa. Più che quantità serve potenza, che il Paese deve garantire». Bisognerebbe puntare il più possibile sulle rinnovabili di prossimità (il fotovoltaico richiede spazio e l’eolico vento, cose che la Pianura Padana non garantisce in quantità, mentre l’idroelettrico soffre con la siccità). «Noi stiamo lavorando, proprio a Milano, a un progetto per la produzione di idrogeno partendo da energia green da stoccare in celle a combustibile e alimentare i data center. Ci vorrà tempo – ha concluso Becker – ma ci arriveremo».

«L’Italia non è mai stata concorrenziale su asset energivori come i data center – ha chiarito Alberto Caccia, head of project and construction management per Lombardini22 –. Noi scontiamo un’arretratezza su cui oggi pesa una domanda pressante che guarda oltre i costi energetici. La competizione più che tra Paesi è tra poli (di Londra, Francoforte, Parigi, Amsterdam). Da una parte i costi sono “ammortizzati” con ampio ricorso alle energie da fonti rinnovabili e a soluzioni ad alta efficienza dei singoli rack (le strutture d’acciaio che ospitano server, dispositivi di rete e cavi). Dall’altro, i grandi operatori possono stipulare accordi di fornitura più favorevoli coi gestori».

«Il caro energia non sta frenando gli investimenti nel settore data center in Italia, perché da noi la penetrazione di questo settore è ancora molto bassa. Si stimano meno di 200MW totali di potenza disponibile, solo il 9% di quanto si è prodotto nel 2021 nei principali mercati europei» ha spiegato Federico Soffietti, managing director investments Hines Italy, che ad agosto ha ufficializzato il suo primo investimento sull’asset in joint venture con Compass Datacenters, su 220mila mq a Noviglio, fuori Milano.

«L’attuale contingenza – ha aggiunto Soffietti – favorirà la ricerca di soluzioni a più basso consumo, oltre alla produzione di energia “green” (fotovoltaico, solare, idroelettrico) direttamente (o in prossimità) del sito».

Secondo Cbre, il 2021 è stato un anno record per gli investimenti europei, con un volume totale di oltre un miliardo (quasi il 70% nel Regno Unito). I rendimenti si collocano tra il 5 e il 7% ma, secondo Scenari Immobiliari, nel biennio 2022-2023 si stima un calo tra 4,5 e 6,5 per cento circa.

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