Legittima la modifica della pendenza del tetto da parte del condomino per ampliare la sua abitazione
I divieti regolamentari non risultavano trascritti nell’atto di vendita ed il condominio non era legittimato a chiedere indennità di sopraelevazione
La singolare vicenda, il cui oggetto gravita sull'azione di riduzione in pristino ed annessa domanda risarcitoria, desta interesse per via dei molteplici aspetti trattati nel corso del giudizio. Un condominio chiamava in causa una condomina dinnanzi al Tribunale di Trento chiedendo che, previo accertamento della illegittimità delle opere eseguite al tetto, venisse condannata al ripristino dello stato preesistente e al risarcimento dei danni. In subordine, domandava l'accertamento dell'obbligo in capo alla condomina al pagamento della indennità di sopraelevazione (prevista dall'articolo 1127, comma 7, Codice civile) e la revisione delle tabelle millesimali.
La convenuta, costituitasi, opponeva il difetto di legittimazione processuale in capo al supercondominio (in relazione alla richiesta di condanna al pagamento della indennità di sopraelevazione e alla revisione delle tabelle millesimali) e, nel merito, il rigetto di tutte le avverse domande poiché ritenute prive di fondamento. Il decidente ammetteva la consulenza d'ufficio. Con sentenza numero 92 pubblicata il 17 febbraio 2022, la curia tridentina dichiarava la legittimità dell'opera realizzata dalla condomina e rigettava ogni doglianza attorea condannando l'ente condominiale alla rifusione delle spese di lite.
Clausole regolamentari inopponibili alla condomina
L'oggetto della contesa scaturiva dalla modifica praticata alla pendenza del tetto condominiale per ampliare l'abitazione della condomina. La medesima aveva creato nuove pareti con struttura portante in legno apportando modifiche alle cose comuni. Il condominio fondava il ricorso sulle clausole regolamentari. Deduceva che il regolamento di condominio rivestiva natura contrattuale in quanto era stato redatto dall'impresa costruttrice ed approvato da tutti i condòmini. Pertanto, l'illegittimità del manufatto posto in essere dalla condomina discendeva dalla violazione di due clausole.
La prima prescriveva l'obbligo del condomino di munirsi di preventiva autorizzazione assembleare per eseguire una qualunque modifica o innovazione («qualunque sia la natura delle opere da eseguirsi, il condomino che vuole intraprendere innovazioni o modifiche delle cose comuni sia nell'interesse proprio che all'intero condominio, deve ottenere la preventiva autorizzazione dell'assemblea») mentre la seconda sanciva l'espresso divieto di realizzare modifiche e opere innovative ai beni comuni («è tassativamente vietato ai condòmini di fare qualunque modifica ed innovazione alle cose comuni, anche se in corrispondenza delle singole proprietà individuali, ed in genere ogni lavoro o variante che possa in qualunque modo avere attinenza con la struttura organica dell'edificio tanto da poterne menomare la statica, il decoro e la serietà data al condominio sin dalla sua costruzione»).
Divieti opponibili solo se trascritti
Il condominio, tuttavia, non aveva offerto alcuna prova sul carattere contrattuale del regolamento. Tra l'altro, esso non riportava alcuna data, né sottoscrizioni. Tantomeno era emersa prova di un suo richiamo nei rogiti notarili dei singoli condòmini. Per il decidente tali carenze probatorie conducevano alla inopponibilità della clausole nei riguardi della condomina evocata in giudizio. Svilite del carattere vincolativo, le clausole si mostravano inidonee a poter contrastare le modifiche praticate dalla condomina. È noto, infatti, che i divieti sono opponibili solo quando vengono trascritti. La mancata trascrizione nei registri immobiliari delle clausole regolamentari che impongano limiti rende inopponibili i vincoli ai terzi acquirenti (ciò sempreché non sia stato espressamente richiamato nell'atto di acquisto).
Indennità di sopraelevazione, difetto di legittimazione del condominio
Il condominio aveva richiesto la corresponsione alla condomina della indennità di sopraelevazione. Secondo il giudicante tale domanda era inammissibile essendo evidente il difetto di legittimazione in capo al condominio. Infatti, solo i singoli condòmini sono legittimati, in quanto soggetti lesi, a richiederla. A tal proposito, la giurisprudenza (Corte di appello Roma 14 maggio 2008) ha chiarito che la sopraelevazione non conferisce al condominio alcun diritto all'indennizzo di cui all'articolo 1127 Codice civile essendo invece legittimati a reclamarlo solo coloro che rivestono la qualità di condòmini. Anche a voler prescindere da tale aspetto, va soggiunto che la consulenza d'ufficio aveva acclarato che l'intervento edilizio realizzato dalla condomina non poteva essere definito tecnicamente come sopraelevazione poiché le murature perimetrali non erano state innalzate per tutto il loro sviluppo.
Lesione affaccio panoramico
Anche la dedotta lesione dell'affaccio panoramico appariva infondata perché si era in presenza di servitù di veduta e/o panorama a favore del singolo condomino. Nessuna legittimazione attiva spettava al condominio, ma solo al singolo. Invero, la Cassazione (1549/2016) ha statuito che tale diritto appartiene esclusivamente al titolare di ogni singolo abitazione. Non spetta all'amministratore, ma ai singoli condòmini agire in giudizio per tutelare il diritto di veduta. Infatti, al difuori della ipotesi residuale in cui il diritto riguardi beni comuni, esso appartiene ai titolari delle distinte unità abitative. La Suprema corte asserisce, dunque, che «la legittimazione ad agire per la specifica tutela dei diritti di veduta non può che appartenere ai singoli condòmini».
Il ctu, peraltro, aveva rilevato l'inesistenza di una normativa tesa alla preservazione dell'affaccio panoramico: il legislatore ha ritenuto sufficiente l'osservanza della distanza minima maggiore di dieci metri prescritta per i fronti di edifici contrapposti (nel caso di specie, il consulente d'ufficio aveva escluso la sussistenza di lesioni in quanto l'edificio era situato a distanza maggiore di dieci metri).
Assenza di lesione del decoro architettonico
Sulla ipotizzata lesione del decoro architettonico, la condomina aveva provato di aver realizzato l'intervento munendosi delle necessarie autorizzazioni amministrative e di aver finanche ottenuto, ai fini del decoro architettonico, il benestare della Commissione paesaggistica. Inoltre, non constava alcuna impugnazione dei provvedimenti autorizzativi, da parte del condominio, dinnanzi al Tar.Il ctu aveva anche verificato la conformità del manufatto realizzato al progetto autorizzato e alle autorizzazioni concesse. In buona sostanza, l'intervento eseguito dalla condomina non aveva comportato impedimento ad un futuro diverso uso del tetto da parte dei condòmini.