Condominio

Riapertura finestre murate: l'incidenza sul decoro architettonico rende necessario il consenso unanime

Il decoro delle facciate è un bene comune dell’edificio pertanto, in caso di alterazione, si necessita dell’assenso dell’assemblea dei condòmini

di Ivana Consolo

Prima di avviare lavori su fabbricati che sorgono in zone sismiche o comunque sottoposte a vincolo, occorre adottare ogni possibile accorgimento che renda pacifica la concessione del titolo edilizio. Se poi i lavori da effettuare possano in qualche misura incidere sui beni comuni, è buona norma tenere presenti le vigenti disposizioni condominiali, la cui osservanza viene tenuta presente anche dalle amministrazioni che dovranno assentire l'attività edilizia. Ne sa qualcosa il protagonista della vicenda che andremo ad esaminare, che ha portato all'emissione di un'articolata sentenza del Consiglio di Stato: il provvedimento numero 219 del gennaio 2022.

Il caso
In uno stabile di particolare pregio storico, uno dei condòmini decideva di riaprire due finestre precedentemente murate, con ciò andando evidentemente ad incidere su una delle facciate dell'edificio. Più precisamente, le due aperture avrebbero interessato il primo piano della struttura, adibito a studio, ed avrebbero inciso sulla facciata ove insisteva il sottostante terrazzo panoramico afferente al vano di proprietà della società che aveva la titolarità dell'intero fabbricato. Prima di avviare i lavori per la riapertura delle finestre, il condòmino si premurava di rivolgersi alla competente soprintendenza, in quanto l'edificio sorgeva in zona assoggettata a vincolo paesaggistico.

La soprintendenza, a seguito dei dovuti sopralluoghi e delle dovute verifiche tecniche, acconsentiva all'intervento edilizio; veniva quindi presentata al Comune la Scia, unitamente al nulla osta della soprintendenza. Il Comune accoglieva la Scia, ritenendo in un primo momento più che sufficiente l'esito delle verifiche effettuate. Tuttavia, anche su sollecitazione della società interessata alla tutela della sua proprietà, tanto il Comune, quanto la Regione, si attivavano per richiedere un maggiore approfondimento. Difatti, a parte il vincolo paesaggistico, vi era da tenere nella giusta considerazione anche la sismicità della zona in cui sorgeva l'edificio, dunque il necessario via libera da parte del Genio Civile.

L'assenza di autorizzazione condominiale
Inoltre, così come evidenziato dal condòmino contrario alla riapertura delle finestre, si riteneva di dover muovere più di una obiezione per l'assenza di preventiva autorizzazione dei lavori da parte dell'assemblea condominiale, nonché per l'inosservanza delle distanze legali rispetto al terrazzo panoramico sottostante. Attese tutte le perplessità manifestatesi, il Comune si determinava ad agire in via di autotutela, annullando la Scia precedentemente approvata, ed ordinando la sospensione dei lavori.

Il condòmino, che nel frattempo aveva completato l'esecuzione dell'opera edilizia, decideva quindi di richiedere l'intervento del Tar Toscana. I giudici amministrativi, ritenevano corretto, da ogni punto di vista, l'operato di Comune e della Regione, non riconoscendo alcun pregio neppure agli altri due argomenti difensivi addotti dal ricorrente, ovvero l'ininfluenza dell'autorizzazione condominiale e dell'osservanza delle distanze legali. Il ricorso proposto dal condòmino interessato alla riapertura delle finestre veniva così rigettato, ed il soccombente decideva di rivolgersi al Consiglio di Stato, chiedendo che venisse riformata totalmente la sentenza del Tar.

La rilevanza del decoro architettonico e il consenso di tutti i condòmini
Investiti della vicenda, i giudici di Palazzo Spada argomentano circa le ragioni che, a loro autorevole avviso, devono portare al rigetto delle rimostranze del condòmino ricorrente. In disparte tutte le osservazioni e precisazioni che il Consiglio di Stato fa molto diffusamente sugli aspetti tecnico-urbanistici, rendendo la sentenza in esame particolarmente prolissa ed a tratti anche alquanto complessa, ciò che rileva evidenziare in tale sede è l'atteggiamento dei giudici su tre principali motivi del contendere.

Procediamo con ordine:
-anzitutto, il Consiglio di Stato ritiene di dover riconoscere la legittimità della valutazione della Regione, recepita anche dal Comune, di doversi avvalere, anche ai fini della sicurezza antisismica dell'edificio, di un metro di giudizio più severo di quello tenuto dalla soprintendenza nel valutare gli interessi paesaggistici. La soprintendenza aveva essenzialmente effettuato uno studio termografico, e le immagini ottenute dai rilevamenti effettuati sulla parete, avevano permesso di evidenziare la presenza di tamponature effettuate per coprire aperture preesistenti; anche il riscontro dell'esistenza di una tessitura muraria differente portava in tale direzione. Si era giunti dunque a concludere circa la preesistenza delle finestre, individuando anche l'approssimativa dimensione delle stesse. Ma tale conclusione appariva il frutto di una valutazione probabilistica e/o presuntiva. Da qui la correttezza dell'operato del Comune che, essendosi avveduto dell'assenza di certezze assolute ricavabili dalla relazione effettuata dalla soprintendenza, ha agito in autotutela per ordinare l'annullamento della Scia ed il conseguente rispristino dello stato dei luoghi;
-quanto all'argomento relativo alla violazione delle norme sulle distanze, vi è da dire che, la disciplina urbanistico-edilizia da osservarsi ai fini del rilascio dei titoli edilizi, è ordinariamente integrata dalle disposizioni del Codice civile in materia di distanze fra le costruzioni (ivi comprese quelle in materia di distanze dalle vedute), dirette non soltanto a regolare i rapporti privatistici, ma anche a tutelare l'interesse pubblico ad una corretta edificazione. Nel caso di specie, la violazione delle distanze si sarebbe verificata a causa dell'aggravio di una servitù di veduta; difatti, l'apertura delle due finestre era avvenuta ad una distanza (rispetto alla terrazza della proprietà sottostante) inferiore a quella prevista dall'articolo 905 del Codice civile, ed altresì in ampliamento di una già esistente apertura di dimensioni più modeste (inglobata in una delle nuove finestre). E tuttavia, il Consiglio di Stato evidenzia che trattasi di una controversia sull'esercizio di servitù di veduta, ove vengono in rilievo più che altro interessi di stampo privatistico. In questo specifico caso, quindi, non era ravvisabile una necessità di tutela dell'interesse pubblico tale da giustificare l'esercizio del potere di autotutela da parte del Comune;
-quanto all'assenza della necessità del consenso del condominio per l'apertura delle finestre sulla facciata dell'edificio, il Consiglio di Stato ben conosce la regola generale desumibile dall’articolo 1120 del Codice civile, secondo cui ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione, e non impedisca agli altri partecipanti di farne egualmente uso secondo il loro diritto. Nella giurisprudenza civile si registra un orientamento in base al quale l’utilizzazione, da parte del singolo condòmino, del muro perimetrale dell’edificio per le sue particolari esigenze, è legittima purché non alteri la natura e la destinazione del bene, non impedisca agli altri di farne un uso analogo, e non arrechi danno alle proprietà individuali di altri condòmini. L’articolo 1120 del Codice civile pone dei limiti ben precisi; in particolare, vieta tutte quelle innovazioni tali da alterare il decoro architettonico di un fabbricato.

L’alterazione del decoro
Le innovazioni capaci di incidere sul decoro architettonico, sono solo quelle modificazioni che alterino l’entità sostanziale o mutino la destinazione originaria del bene comune; le modificazioni che invece mirino solo a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune, lasciandone immutata la consistenza e la destinazione, non rientrano nella nozione di innovazione tecnica, e non rilevano ai fini dei limiti di cui all'articolo 1120. Fatte tali doverose precisazioni di carattere generale, la giurisprudenza amministrativa ha rilevato che occorre il consenso del condominio quando uno dei condòmini intenda realizzare (o sanare) opere che modifichino la facciata dell’edificio.

Questo principio si applica anche quando l’interessato ritenga che le innovazioni sulle parti comuni non avrebbero alcuna rilevanza estetica. Difatti, non è rimessa al singolo condòmino la considerazione circa l'irrilevanza delle innovazioni sotto il profilo estetico, qualora sia verificata la loro incidenza sostanziale sulla facciata dell'edificio condominiale. Il decoro architettonico delle facciate costituisce bene comune dell’edificio; pertanto, ogni lavoro che su di esso sensibilmente incide, necessita dell’assenso dell’assemblea dei condòmini, a prescindere dal giudizio sul risultato estetico dei lavori progettati. L'assenza del consenso dei condòmini è un presupposto che il Comune deve accertare in sede istruttoria, secondo criteri di ragionevolezza, e si presenta come condizionante la legittimità del titolo abilitativo per la realizzazione delle opere.

Conclusioni
Tornando al caso di specie, l'intervento ha inciso indubbiamente in modo sostanziale sulla facciata dell'edificio, ed è pacifico che la mancanza di assenso del condominio alla realizzazione delle opere in questione rappresenti un elemento decisamente sfavorevole alle ragioni del ricorrente. In conclusione, si può dire che l'attenta disamina condotta dai giudici di Palazzo Spada, consente di individuare due punti fermi:
-l'effettuazione di interventi edilizi su stabili condominiali che sorgano in zona sismica ed assoggettata a vincolo paesaggistico, richiede una procedura “rafforzata” che non si limiti alla sola valutazione della soprintendenza competente;
-in caso di interventi edilizi che incidano sulla facciata del fabbricato, il decoro architettonico dell'edificio va adeguatamente salvaguardato, con la conseguente necessità di assenso condominiale ai lavori in questione, valutabile in via istruttoria dal Comune.

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