Condominio

Usucapione dinanzi al notaio a prova di reato

L’averla dichiarata davanti a pubblico ufficiale non esonera quindi dal provare che sia avvenuto il pacifico possesso ventennale

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di Rosario Dolce

Sappiamo che, oggi, risulta legittimo l'accordo di accertamento dell'usucapione che venga stipulato dinanzi al notaio. Questo, anche al di fuori e a prescindere dal procedimento di mediazione. Così si deduce dallo Studio del notariato numero 4-2017/C, intitolato «Ancora in tema di trascrivibilità del negozio di accertamento», approvato dalla Commissione studi civilistici il 14 giugno 2017. Ma cosa succede se la parte attesta il falso dinanzi al notaio? Vale a dire, se non risponde al vero la circostanza presupposta all'usucapione, vale a dire quella di avere avuto un possesso continuativo, pacifico e ininterrotto per oltre un ventennio?

Principio di diritto
Risponde alla domanda la Cassazione, sezione 5, con la sentenza 8557 del 4 febbraio 2021, enunciando il seguente principio di diritto: «l'atto redatto dal notaio rogante un negozio di compravendita non ha la funzione di attestare la verità delle dichiarazioni dei contraenti in ordine alle loro qualità personali, ivi compresa quella resa dal venditore attinente all'essere divenuto proprietario del bene per usucapione».

Il fatto
Il caso prende spunto da una denuncia effettuata dall'acquirente di un immobile nei confronti del venditore, il quale, dinanzi ad un notaio rogante, si ergeva, per sua stessa dichiarazione, a titolare dello stesso immobile per occorsa usucapione.Il delitto contestato a quest'ultimo, nel capo di imputazione, è stato ricondotto – a quanto pare, esclusivamente - alla fattispecie di cui all'articolo 483 Codice penale, a mente della quale: «Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni». La Corte territoriale, tuttavia, ha assolto l'imputato dal reato ascrittogli, con la formula: «perché il fatto non sussiste».

La sentenza
I giudici di legittimità condividono la conclusione del giudice di merito, rilevando che: «Non integra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (articolo 483 Codice penale) la condotta di colui che dichiari falsamente al notaio – in sede di redazione di un atto pubblico di donazione - di avere usucapito alcuni immobili oggetto della donazione, in quanto detto atto, destinato a trasferire la proprietà dei beni donati al donatario, non è, invece, destinato a provare la verità dei fatti dichiarati dal donante» (in punto, sono stati richiamati i seguenti precedenti: Cassazione, sezione 5, 5365/2007; conforme 39215/2015).

Conclusione
Si tratta di approdo interpretativo ritenuto del tutto condivisibile, che è stato giustificato sulla base del rilievo secondo il quale il delitto previsto dall'articolo 483 Codice penale sussiste solo qualora l'atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati e, cioè, quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all'atto-documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente (Cassazione, sezioni Unite, 6/1999; conformi 5365 /2018; 18279/2014; 23587 /2013; 4970/2012).

Al più – così chiosano i giudici di legittimità - il falso in dichiarazione, quand'anche non sussumibile nella fattispecie normativa in esame, è idoneo ad integrare soltanto l'artificio o il raggiro richiesto per il venire in essere del delitto di truffa (articolo 640 Codice penale), ossia un segmento della sequenza che conduce l'autore della falsa dichiarazione ad indurre in errore il destinatario di essa o altri, così da conseguire un ingiusto profitto.

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