Verande, tettoie, sottotetti ammessi se precari, cioè rimovibili, non incide la transitorietà del manufatto
Ogni opera pertanto sarà da valutare secondo la sua destinazione seguendo i criteri che la legge regionale siciliana, nel caso specifico, individua
Quando si parla di verande, tettoie, sottotetti e locali accessori definendoli come precari non si intende il fatto che siano transitori – vista la finalità di ricavare dalle chiusure volumi fruibili ed abitabili con comodità ed in condizioni di igiene e sicurezza – bensì facilmente rimovibili grazie alle modalità costruttive ed al sistema di ancoraggio. Ciò che conta, in sintesi, è la destinazione dell'opera. Lo puntualizza la Corte di appello di Palermo con sentenza 683 del 30 aprile 2021.
La vicenda
È una coppia di coniugi ad accendere lo scontro appellando la pronuncia con cui il Tribunale, accogliendo in parte le domande formulate da proprietario ed occupante dell'appartamento sovrastante li aveva condannati a mantenere disattivata la caldaia posta sul balcone o, se funzionante, a dotarla di canna fumaria idonea ad aggettare i fumi oltre il tetto dell'edificio ed a rimuovere la veranda che chiudeva parzialmente il balcone. A loro avviso, la decisione era illogica visti gli esiti degli accertamenti e delle conclusioni rese dal consulente e la violazione delle disposizioni dettate dalle leggi regionali.
In particolare, spiegano, la caldaia era stata scollegata dalla rete del gas metano e privata del sistema di evacuazione dei fumi prima dell'avvio della causa quindi sul punto non sussisteva alcun interesse ad agire. Ad ogni modo, il tecnico non aveva marcato nulla al riguardo. Quanto alla veranda in alluminio anodizzato e ante a vetri realizzata a parziale chiusura del balcone, avevano ottenuto la concessione in sanatoria senza che il durevole asservimento all'immobile collidesse con la natura precaria della struttura dovendo intendersi la precarietà come sinonimo di agevole rimovibilità e non di temporaneità.
La decisione
Appello accolto. Intanto, chiarisce la Corte, il Tribunale affermava che la domanda di cessazione delle immissioni insalubri non riguardava la tutela del diritto di proprietà – essendo lecito dotarsi di caldaia – ma la protezione della salute, bene di rilevanza costituzionale. Ecco che se ne poteva ordinare la rimozione ove accertatane la dannosità per insalubri esalazioni. Tuttavia, scrive, non solo era stata disattivata ma non era riscontrabile alcuna attitudine nociva neppure potenziale e non erano emerse prove contrarie.
La precarietà della veranda
Riguardo la veranda, invece, il Tribunale l'aveva ritenuta difforme dall'autorizzazione siccome destinata non a soddisfare bisogni temporanei e contingenti ma a durare nel tempo divenendo un nuovo locale autonomamente utilizzabile che ampliava il godimento dell'immobile. Per il giudice, allora, mancava la precarietà che costituisce presupposto applicativo della speciale norma della legge regionale. In realtà, si sottolinea, la veranda era stata regolarizzata proprio in base a quella legge che esonerava da concessioni o autorizzazioni le chiusure di terrazze di collegamento, di terrazze inferiori a cinquanta metri quadrati o la copertura di spazi interni con strutture precarie, ferma l'acquisizione del nulla osta da parte della soprintendenza dei beni culturali ed ambientali per immobili soggetti a vincolo.
Disposizioni che si applicano anche alla chiusura di verande o balconi con strutture precarie da intendersi, evidenzia la Corte, come tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione. E si definiscono verande – cui si assimilano le strutture aperte almeno da un lato (tettoie, pensiline, gazebo) e realizzate con sistemi precari – le chiusure o opere precarie realizzate in quel modo e relative a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze e tra fabbricati.
Non transitorietà del manufatto
Chiude il cerchio la giurisprudenza amministrativa siciliana per la quale l'obiettivo della chiusura consentita dalla legge regionale è di ricavare volumi fruibili ed abitabili comodamente ed in condizioni d'igiene e sicurezza. Prospettiva per cui la precarietà, anziché risolversi in limite di abitabilità, valorizza la modalità costruttiva tanto che l'aggettivo precario è inteso come facilmente rimovibile e non come transitorio. L'opera, quindi, rispettava i canoni di legge e non c'erano gli estremi per confermarne la rimozione. Di qui, il rigetto dell'appello.
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di Luca Savi - coordinatore scientifico Unai Bergamo