Condominio

Allontanamento di animali dal condominio: è possibile se previsto da un regolamento contrattuale

Il proprietario che abbia inequivocabilmente accettato quella previsione nell’atto di acquisto è tenuto a rispettare il divieto di possedere animali domestici

di Selene Pascasi

Sì al divieto di tenere animali domestici in casa imposto da regolamenti condominiali di natura contrattuale purché formulato in maniera inequivocabile così che il proprietario, accettandolo, si autovincoli. Diversamente, non sarebbe possibile comprimere una facoltà inerente alle proprietà esclusive. Lo afferma il Tribunale di Piacenza con sentenza numero 142 del 28 febbraio 2020.

I fatti
Ad accendere la lite è un condominio che chiede la condanna di uno dei condòmini ad allontanare da casa due cani di grossa taglia. Pronta, la difesa: la riforma della materia condominiale apportata dalla legge 220/2012, integrando l'articolo 1138 del Codice civile, sancisce che i regolamenti non possano vietare il possesso o la detenzione di animali domestici. Norma applicabile al suo caso, precisa, poiché di ordine pubblico e quindi estensibile ai regolamenti contrattuali tenuto conto della valorizzazione nel corso degli anni acquisita dal rapporto uomo-animale evidenziata sia da norme nazionali che europee.

La decisione
Tesi bocciata. Il regolamento in questione – spiega il Tribunale accogliendo la domanda del condominio – aveva messo nero su bianco il divieto di tenere animali in casa o in altri locali dell'edificio e l'uomo, accettandolo, non poteva sottrarvisi come accade per qualsiasi contratto. Ciò premesso, il giudice piacentino ricorda come la compressione di facoltà inerenti le proprietà esclusive deve comunque essere formulata con espressioni che non diano adìto a dubbi. È essenziale, in sintesi, che dalla lettura del regolamento possa comprendersi facilmente quale ne sia la finalità. A maggior ragione, i divieti ed i limiti imposti al godimento dei singoli dal regolamento devono risultare da volontà chiaramente manifestate sul documento o da esso desumibili in modo inequivoco.

Paletti che, marca la sentenza, possono essere formulati elencando le attività vietate o richiamando i pregiudizi che si intendono evitare (ipotesi in cui si dovrà, di volta in volta, accertare l'idoneità di una determinata azione a produrre quegli inconvenienti). Ebbene, nella vicenda, il regolamento aveva stabilito letteralmente che era «vietato in modo assoluto e tassativo… tenere cani e gatti o altre bestie negli appartamenti o in qualsiasi altro locale dell'edificio privato o comune».

I divieti nei regolamenti contrattuali
Era innegabile, perciò, la volontà di escludere la presenza di animali anche nelle porzioni esclusive ricomprese nello stabile condominiale. Inutile, poi, il rinvio alla riforma del 2012 laddove dalla collocazione del “divieto di vietare” nella disciplina del regolamento condominiale di natura assembleare si deduceva l'impossibilità di ritenerla operante per i regolamenti contrattuali. A confermarlo, i lavori preparatori della legge da cui emerge il fine di proteggere le scelte adottate dai redattori dei regolamenti accettati dagli acquirenti.

E se è vero che l'indirizzo più recente è quello di tutelare gli animali, in particolare quelli di affezione, è pur vero che sono profili estranei alla fattispecie che verte sulla rilevanza dell'autonomia contrattuale espressa nel regolamento e sull'efficacia di prescrizioni (volute dai contraenti e accettate) che costituiscono, per ciascuno, vincolo e diritto a verificarne il rispetto. In sostanza, conclude il Tribunale, la disapplicazione della norma regolamentare richiesta dal proprietario si tradurrebbe nella lesione del diritto degli altri all'osservanza del regolamento nella parte in cui si vietano nel palazzo i contatti con gli animali.

Opposta, la situazione concernente i regolamenti assembleari approvati a maggioranza che, secondo le nuove norme, non possono importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condòmini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi in via esclusiva. Ciò, a nulla rilevando che gli animali disturbino. Il divieto contenuto in un regolamento contrattuale, infatti, non è legato ad immissioni intollerabili ma ha valore assoluto e opera anche se il disturbo non vi sia o non sia provato. Il Tribunale, allora, appurata la violazione delle regole contrattuali accettate dall'uomo con l'atto di acquisto, non poteva che ordinare l'allontanamento dei cani e condannarlo alle spese processuali.

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