Se l'amministratore è inerte, il condòmino può sostituirsi a lui nella tutela delle parti comuni
Legittima l'azione giudiziaria diretta proposta dal singolo, per evitare pregiudizi alla proprietà condominiale
All'interno di un edificio in condominio, nel caso di inerzia dell’amministrazione che non provvede alla conservazione dell'integrità delle parti comuni, il singolo detiene certamente il potere di agire a difesa, non solo dei suoi diritti di proprietario esclusivo, ma anche dei suoi diritti di comproprietario pro quota delle parti comuni, ben potendo ricorrere all’autorità giudiziaria secondo quanto disposto dall’articolo 1105 del Codice civile che, sebbene dettato in materia di comunione, deve ritenersi applicabile anche al condominio degli edifici in virtù del rinvio operato dal successivo articolo 1139 del codice.
Con questi principi di diritto, contenuti nell' ordinanza numero 16934 depositata il 14 giugno 2023, la Cassazione ha confermato la sentenza numero 1808 del 2017 della Corte d'appello di Palermo, rigettando il ricorso proposto dai soccombenti appellati, vittoriosi in primo grado innanzi al Tribunale di Agrigento, ed ha posto fine ad un complesso contenzioso, iniziato molti anni prima.
La vicenda processuale e le pronunce di merito
Un condòmino aveva agito in giudizio contro i proprietari di alcune unità immobiliari ubicate all'interno del medesimo condominio che, in maniera arbitraria, avevano, a suo dire, occupato il pianerottolo delle scale comuni, sia ponendo sullo stesso, in maniera permanente, numerosi mobili e suppellettili di loro proprietà ed a loro esclusivo utilizzo, sia chiudendo con degli sportelli la nicchia posta nell'intercapedine muraria (in modo tale da ricavarne un armadietto a loro esclusiva disposizione), rendendo in questo modo il pianerottolo in oggetto non utilizzabile dagli altri condòmini. L'attore, lamentando, tra l'altro, un utilizzo della cosa comune eccedente i limiti sanciti dall'articolo 1102 del Codice civile, evidenziava la compromissione del proprio (ed altrui) diritto di fare parimenti uso di quella parte comune che i convenuti avevano sostanzialmente sottratto alla disponibilità di tutti gli altri condòmini.
Di conseguenza, non avendo avuto riscontro (neanche) dall'amministratore, era ricorso direttamente all'autorità giudiziaria, per ottenere un provvedimento che imponesse alle controparti la rimozione dei mobili di loro proprietà dal ballatoio condominiale ed il ripristino, a loro cura e spese, dello stato dei luoghi originario.In tal modo, si sarebbe restituita al pianerottolo la sua naturale destinazione originaria e lo spazio in questione sarebbe ritornato nella piena e libera fruibilità di tutti altri comproprietari.Mentre il giudice di primo grado aveva dichiarato inammissibile l'azione, per mancata richiesta di convocazione dell’assemblea condominiale sulle questioni oggetto del contendere, la Corte d'appello di Palermo aveva ribaltato la decisione del Tribunale agrigentino, accogliendo integralmente le istanze della parte attrice.
Di assoluto rilievo, ai fini della vicenda che ci occupa, è quella parte della pronuncia della Corte distrettuale nella quale si rigetta espressamente (anche) la domanda (riconvenzionale) d'intervenuta usucapione della nicchia esistente all'interno dell'intercapedine condominiale, in quanto proposta dagli appellati (in primo grado, ma) tardivamente, ossia oltre i termini di cui all'articolo 167 del Codice di procedura civile.Più precisamente, osserva il giudice di secondo grado, detta riconvenzionale era stata avanzata nella comparsa di costituzione, depositata fuori termine.Per la cassazione della sentenza d'appello, dunque, i ricorrenti avevano investito della questione la Suprema corte.
Le valutazioni della Cassazione
Con una pronuncia articolata e complessa, riguardante anche altre questioni sollevate dall'originario attore che non formano oggetto d'analisi in questa sede, il giudice di legittimità ha richiamato il proprio costante orientamento: nell'ipotesi di inerzia gestionale, il condòmino conserva il potere di agire a difesa, non solo dei suoi diritti di proprietario esclusivo, ma anche dei suoi diritti di comproprietario pro quota delle parti comuni, potendo ricorrere direttamente all'autorità giudiziaria, senza necessità di convocazione assembleare, sulla scorta dell'articolo 1105 del Codice civile, applicabile al caso di specie in virtù del richiamo espresso operato dall'articolo 1139 del Codice civile.
Non solo, senza dubbio il singolo condòmino può promuovere le azioni (o resistere a quelle da altri proposte) a tutela dei suoi diritti di comproprietario pro quota anche quando gli altri condòmini non intendano agire o resistere in giudizio, per evitare il pregiudizio che possa derivare alla cosa comune, in presenza di una paralisi gestionale, quando non si prendono i provvedimenti necessari per la conservazione della stessa, avendo tale suo potere carattere autonomo.
Per la tutela del diritto di proprietà non occorre la preventiva assemblea
Infine, la Suprema corte, richiamando un importante precedente delle Sezioni unite (sentenza numero 10934/2019) osserva come non sia condivisibile l'assunto del Tribunale che subordina il ricorso all'autorità giudiziaria alla preventiva convocazione dell'assemblea dei condòmini, non potendosi applicare, come correttamente ha rilevato il giudice d'appello, il dettato del quarto comma dell'articolo 1105 del Codice civile, afferente ad altra ipotesi. Laddove, invece, come nel caso di specie, il provvedimento richiesto all'autorità giudiziaria serva a paralizzare gli effetti dell'altrui richiesta mirante al riconoscimento di un diritto reale sulla proprietà condominiale o parte di essa (l'usucapione di parti comuni), non può privarsi il singolo del potere d'agire direttamente in giudizio, anche a propria tutela, in presenza d'inerzia dell'amministratore o degli altri condòmini.
Semmai, la fattispecie impropriamente richiamata afferisce, secondo la Cassazione, alla sola ipotesi in cui il provvedimento che si vuole ottenere dal giudice abbia mera rilevanza gestionale interna; in tal caso (e solo in quello), il ragionamento del Tribunale di Agrigento sarebbe stato condivisibile.Ricorso rigettato, dunque, appello confermato, e condanna per i soccombenti alle spese di giudizio ed al versamento di una somma ulteriore pari al contributo unificato dovuto.
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di Carlo Pikler - Centro studi privacy and legal advice