L’edificio diventa alleato della transizione: efficienza, qualità dell’aria e valore immobiliare in un solo percorso.
L’edificio non più come “luogo passivo” di consumo
La riqualificazione del patrimonio edilizio è oggi uno snodo strategico non solo per la lotta al cambiamento climatico, ma anche per il nostro Paese. Agire sull’edificio significa, al tempo stesso, ridurre le emissioni, tagliare i consumi energetici, innalzare gli standard di sicurezza e benessere abitativo rigenerando contestualmente porzioni di città e dando risposte concrete a bisogni sociali come il disagio abitativo e la povertà energetica.
In questa prospettiva, l’edilizia diventa infrastruttura essenziale della transizione ecologica oltre a leva di politica industriale.
Dentro questo quadro si colloca l’evoluzione della EPBD (Energy Performance of Buildings Directive), introdotta per la prima volta nel 2002, rivista nel 2010 e nel 2018 al fine di promuovere ulteriormente la riduzione dei consumi energetici e le emissioni di gas a effetto serra negli edifici. A marzo 2023 viene pubblicata la Direttiva CEE 24/04/2024 n. 2024/1275 denominata “Direttiva Case green”. Il nuovo impianto normativo pone l’edificio al centro della decarbonizzazione europea, con l’obiettivo – di medio-lungo periodo – di un parco immobiliare a emissioni zero entro il 2050.
La direttrice è chiara: progettare e costruire nuovi edifici a emissioni zero e accompagnare l’esistente in percorsi di riqualificazione programmata.
Anche se la continuità con i precedenti recepimenti è evidente in questa della nuova EPBD, si scorge anche una identità sociale: contenere la spesa energetica delle famiglie e delle PMI, con particolare riguardo ai nuclei vulnerabili che non possono assorbire aumenti strutturali del costo dell’energia.
In questo contesto gli attori principali di questa sfida saranno progettisti, amministratori di condominio, legali, imprese e PA che dovranno trasformare un obbligo di conformità in piani tecnicamente solidi, capaci di generare valore nel tempo: minori consumi, immobili più resilienti, quartieri più vivibili. L’edificio, insomma, non più come “luogo passivo” di consumo, ma come asset energetico, cardine della transizione e catalizzatore di innovazione.
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Perché la transizione passa dagli edifici
Il patrimonio immobiliare italiano è il vero snodo della transizione climatica: gli edifici assorbono circa il 40% dei consumi energetici nazionali e generano il 36% delle emissioni di gas climalteranti, ma sono in larga parte obsoleti e destinati a restare in uso (si stima tra l’85% e il 95% dello stock attuale) anche al 2050, a fronte di un tasso di riqualificazione fermo attorno all’1% annuo.
Il quadro dimensionale è imponente: secondo CRESME (2022) si contano 12.539.173 edifici residenziali per 32.302.242 abitazioni, di cui il 78,4% occupate da famiglie; l’Italia è prima in Europa per case ogni 1.000 abitanti (599 contro una media UE di 506, fonte ISTAT). La vetustà è marcata: oltre un quinto del costruito supera i cento anni (circa 2,15 milioni di unità) e il 72% degli edifici ha più di 43 anni; quindi, antecedente alla prima legge sull’efficienza energetica (legge 373/1976); ne deriva una qualità energetica mediamente bassa, con circa il 68,5% delle abitazioni in classi E–G.
Questo profilo si intreccia con criticità tipiche del contesto italiano—proprietà frazionata nei condomìni, vincoli nei centri storici, fabbisogni di sicurezza sismica e povertà energetica—che rendono essenziale una strategia integrata composta da interventi programmati, building automation, governance condominiale efficace e strumenti finanziari mirati.
Senza una spinta sistemica, l’attuale mix di età, inefficienza e immobilità del turnover rischia di cristallizzare costi e emissioni per decenni, proprio laddove si gioca la neutralità climatica.
L’involucro come primo presidio di efficienza energetica
Nella Direttiva (UE) 2024/1275 l’involucro edilizio è richiamato in modo espresso ed assume un ruolo cardine nella strategia europea di decarbonizzazione.
Infatti, l’art. 5 impone agli Stati membri di fissare requisiti minimi di prestazione energetica per gli elementi che fanno parte dell’involucro (pareti, coperture, serramenti) quando sono rinnovati o sostituiti. Mentre, l’art. 4, disciplina la metodologia di calcolo della prestazione energetica, con particolare riferimento anche agli elementi trasparenti dell’involucro.
Entrambe le disposizioni mirano a ridurre dispersioni termiche e fabbisogni energetici, rendendo l’involucro il primo presidio della decarbonizzazione. In sintesi, l’edificio viene visto come sistema integrato in cui l’involucro è la base per ottenere efficienza, comfort e sostenibilità.
Gli interventi di isolamento termico mediante cappotto esterno, facciata ventilata, coibentazione delle coperture o sostituzione degli infissi con sistemi a triplo vetro e telai a bassa conducibilità rientrano tra le azioni prioritarie indicate anche dal DM 26 giugno 2015 (“Requisiti minimi”), oggetto di recente modifica in quanto la Conferenza Unificata ha approvato lo schema di modifica del Decreto del Ministero del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica del 26 giugno 2015 che ridefinisce gli standard energetici/prestazionali minimi, introducendo dei parametri più stringenti rispetto al passato, che gli edifici devono rispettare al fine di ottenere la certificazione energetica.
Si tratta, indubbiamente, di un provvedimento di notevole rilievo pratico che, di fatto, adegua i metodi ed i coefficienti di calcolo delle prestazioni energetiche degli edifici previste dal DM 26 giugno 2015.
Per effetto di questa innovazione, la prestazione energetica dell’intero fabbricato, con nuovi indici di trasmittanza, verrà calcolata adottando come criterio di riferimento l’energia annuale complessivamente necessaria per un uso standard dell’edificio, comprendendo nella valutazione il fabbisogno energetico per il riscaldamento, il raffrescamento, la ventilazione, la produzione di acqua calda ad uso sanitaria e, con riferimento agli immobili ad uso non residenziale, l’illuminazione ed il consumo energetico per garantire il funzionamento degli ascensori e delle scale mobili. Da questo punto di vista, fermo restando l’obbligo di recepimento delle direttive nazionali (normative tecniche UNI e CTI) e di adeguamento alle normative europee, di estremo interesse risulta essere l’inclusione tra i fattori da considerare per il calcolo della prestazione energetica del fabbricato dei ponti termici, ossia di quelle zone dell’involucro edilizio in cui l’isolamento è compromesso, così da determinare una zona di passaggio e di dispersione del calore, dall’interno verso l’esterno, presenti anche nell’edificio di riferimento
Non si tratta di un approccio meramente impiantistico, ma di un vero e proprio cambio di paradigma: l’involucro viene inteso come infrastruttura tecnologica di base su cui innestare sistemi ad energia rinnovabile (fotovoltaico, pompe di calore, solar cooling), con effetti sinergici sia sui consumi sia sul comfort abitativo.
La sfida dell’involucro in ambito condominiale
Se dal punto di vista tecnico l’involucro rappresenta la leva principale per migliorare l’efficienza energetica, il contesto condominiale italiano pone problematiche complesse sul piano giuridico e gestionale.
Anche se il codice civile prevede che l’esecuzione di innovazioni volte al miglioramento dell’efficienza energetica possono beneficiare di una maggioranza agevolata l’esperienza applicativa dimostra che le decisioni assembleari restano spesso rallentate da conflitti tra condomini, difficoltà di ripartizione delle spese e timori legati alla tutela del decoro architettonico. A ciò si aggiungono i vincoli derivanti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, che limita la possibilità di intervenire sugli involucri nei centri storici o sugli immobili sottoposti a tutela.
L’efficacia degli incentivi fiscali, uno tra tutto il Superbonus 110%, ha mostrato come la leva economica sia decisiva per superare l’inerzia decisionale. Tuttavia, la frammentazione della proprietà resta un ostacolo: un edificio medio in Italia ha 10–12 unità abitative, e le divergenze tra i singoli comproprietari spesso paralizzano l’iter assembleare.
Anche se la nuova Direttiva (UE) 2024/1275 non menziona espressamente il ricorso ad una “governance condominiale”, l’esigenza di strumenti per semplificare i processi decisionali nei condomìni emergono in via indiretta. Infatti, dalla lettura in combinato disposto degli articoli art. 15, 3, 4, 5, si deduce che gli Stati membri devono prevedere misure tecniche ed economiche per il raggiungimento degli obiettivi e rimuovere barriere di natura amministrativa e gestionale.
In Italia, l’amministratore di condominio, in questo nuovo contesto, assume un ruolo sempre più tecnico-gestionale, dovendo non solo curare e coordinare progettisti e imprese per garantire la conformità normativa, l’accesso agli incentivi e la sostenibilità economica delle opere. La sfida dell’involucro condominiale rappresenta il vero banco di prova della transizione energetica nazionale.
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