La partecipazione all’assemblea di una comunione ereditaria costituisce accettazione dell’eredità
Prendere parte al consesso spetta soltanto ai successori del condòmino defunto e va ben oltre la semplice gestione del bene ricevuto
Con l’ordinanza 11908/2020 , il Tribunale di Napoli ha sciolto un’intricata controversia, introdotta da un condominio che conveniva in giudizio il debitore, affinchè il giudice accertasse che quest’ultimo aveva «accettato tacitamente l’eredità della madre», ordinasse al Conservatore dei registri immobiliari di Napoli di trascrivere l’emanata pronuncia dichiarativa della qualità di erede e condannasse il convenuto a «corrispondere al condominio la somma di 11.210,14 euro, oltre agli interessi legali».
Il ricorso del condominio
Il condominio, con il ricorso, sosteneva di aver già ottenuto un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Napoli, non opposto dal resistente e richiesto nei suoi confronti in qualità di erede della madre, per il pagamento degli oneri condominiali per il periodo 2012/2016 afferenti all’immobile sito nel fabbricato già di proprietà della stessa. Concludendo, il condominio chiedeva che il giudice pronunciasse una sentenza dichiarativa dell’accettazione tacita dell’eredità ai fini di poterla trascrivere nei registri immobiliari e al contempo a richiedere il pagamento degli ulteriori oneri per 11.210,14 euro maturati alla data del 10 marzo 2020 come da bilanci approvati dall’assemblea.
Le richieste del debitore
Si costituiva il resistente, «eccependo che il condominio avrebbe dovuto richiedere la fissazione del termine previsto dall’articolo 481 del Codice civile e non procedere in sede contenziosa». Contestando nel merito la pretesa ed evidenziando di non occupare l’immobile di cui è causa per averlo lasciato da anni, ha eccepito che difettava nella fattispecie la prova di accettazione tacita dell’eredità materna. Non solo: in subordine, sottolineava «la natura parziaria delle obbligazioni ereditarie, eccependo che non gli può essere richiesto l’importo totale dei debiti». Chiedeva, dunque, di essere autorizzato a chiamare in giudizio gli altri due fratelli, chiamati all’eredità.
Mentre uno dei due restava contumace, l’altro, costituendosi, dichiarava di «avere già evocato in mediazione i fratelli per lo scioglimento della comunione. Ha, poi, dedotto che entrambi hanno tacitamente accettato l’eredità avendo partecipato in qualità di eredi alla riunione dell’assemblea della comunione ereditaria dei beni relitti dai genitori tenutasi il 10 dicembre 2018 di cui ha prodotto il verbale». Concludeva, a sua volta, chiedendo di accertare la qualità di eredi dei fratelli e dichiarare «l’improcedibilità delle domande del ricorrente perché non precedute dal tentativo di mediazione obbligatoria prevista in materia successoria e in materia condominiale».
Gli atti che configurano accettazione tacita
Per il Tribunale campano, la domanda del convenuto con la quale si chiedeva la verifica della qualità di erede del fratello, oltre che procedibile, era anche fondata nel merito. Si legge in sentenza, infatti, che «costituisce principio pacifico quello secondo il quale affinché un atto del chiamato all’eredità possa configurare accettazione tacita, è necessario che esso presupponga necessariamente la sua volontà di accettare e che si tratti di atto che egli non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede». In proposito, la Cassazione (sentenza numero 1021/1976) ha chiarito che non solo gli atti dispositivi, ma «anche gli atti di gestione possono dar luogo all’accettazione tacita dell’eredità», secondo l’accertamento compiuto caso per caso dal giudice di merito, «in considerazione della peculiarità di ogni singola fattispecie e tenendo conto di molteplici fattori», tra cui quelli della natura e importanza nonché della finalità degli atti di gestione compiuti dal chiamato.
In ogni caso, occorre però che si tratti di atti incompatibili con la volontà di rinunciare e non altrimenti giustificabili se non con la veste di erede, mentre sono privi di rilevanza tutti quegli atti che non denotano in maniera univoca un’effettiva assunzione della qualità di erede, «occorrendo accertare se il chiamato si sia mantenuto o meno nei limiti della conservazione e dell’ordinaria amministrazione del patrimonio ereditario». Si può, infatti, in linea generale affermare che tutti gli atti previsti dall’articolo 460 Codice civile (che disciplina i poteri del chiamato prima dell’accettazione, cioè compimento di azioni possessorie a tutela dei beni ereditari; compimento di atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea) non provochino la mutazione dello status da chiamato a erede.
Solo gli eredi sono ammessi in assemblea
Quanto al caso trattato dal Tribunale di Napoli, tuttavia, vi era agli atti un «verbale di assemblea ordinaria e straordinaria della comunione ereditaria» alla quale il resistente aveva partecipato (peraltro delegando proprio l’avvocato che poi lo ha rappresentato in giudizio). Sul punto, il giudice napoletano ha indicato chiaramente l’effetto derivante da questa condotta: «La partecipazione all’assemblea di una comunione ereditaria spetta solo a chi si professa erede. Si tratta di un atteggiamento che va ben oltre la mera gestione conservativa del bene caduto in successione» e, pertanto, il resistente, già chiamato all’eredità, «può essere dichiarato erede della madre».