Condominio

Il bene è in esclusiva solo se il titolo lo afferma con la massima chiarezza

Nel caso in esame si trattava di un cortile presunto comune

di Selene Pascasi

Vanno espressamente e chiaramente enunciati gli accordi contenuti nell'atto di acquisto di un immobile sito in un condominio, se comportino restrizioni delle facoltà sulle singole proprietà o sulle parti comuni. Il diritto di ciascuno di usare, godere e disporre di tali beni, infatti, può essere convenzionalmente limitato solo con patti che pongano in essere servitù reciproche, oneri reali o, almeno, obbligazioni sulle cose.

Saranno invalide, quindi, le clausole che – con formula del tutto generica – riservino all'originario proprietario l'insindacabile diritto di modificare le parti comuni, con conseguente intrasmissibilità di tale facoltà ai successivi acquirenti. Lo afferma la Corte di appello di Catanzaro con sentenza numero 1612 del 15 dicembre 2021.

I fatti
Apre la lite, la richiesta di un uomo tesa all'accertamento della titolarità in capo a sé della corte di un terreno. Collegata, la domanda di ristoro dei danni subiti a seguito della demolizione, attuata dai convenuti, delle opere di ripristino effettuate a proprie cure e spese. Controparte reclama il compossesso della corte, chiedendo i danni da occupazione abusiva. Il Tribunale, però, accoglie la pretesa attrice e la questione arriva in appello. Secondo i ricorrenti, la pronuncia impugnata, oltre ad essere viziata nella motivazione, non aveva tenuto conto che la corte fosse di proprietà condominiale e peraltro utilizzata dai condòmini per il parcheggio delle auto e per il deposito di materiale vario, come barche e biciclette. Situazione che, aggiungono, emergeva in maniera chiara dagli atti di compravendita.

L’individuazione del bene quale comune
La Corte, sciolto un nodo tecnico, si sofferma sul merito: la corte andava considerata di proprietà esclusiva dell'appellato o comune in base alle norme sul condominio? Ebbene, stando alla ricostruzione della vicenda, andavano applicate le norme sul condominio la cui nascita coincideva con il primo atto di trasferimento dell'unità immobiliare. La disciplina di riferimento, allora, era l'articolo 1117 del Codice civile che annovera tra le parti comuni, salvo diverso titolo, anche il cortile, inteso in senso ampio e nella sua funzione di dare luce ed aria agli ambienti che vi prospettano.

Logica per la quale, secondo i giudici di legittimità, sono cortili comuni anche gli spazi liberi disposti esternamente alle facciate (aree verdi, zone di rispetto, distacchi, intercapedini, parcheggi) pur non espressamente menzionati dall'articolo citato (Cassazione 3852/2020). Ad ogni modo, prosegue il Collegio, le pattuizioni contenute nell'atto di acquisto di un'unità sita in un edificio condominiale, che comportino restrizioni delle facoltà inerenti la proprietà esclusiva dei singoli o le parti comuni, vanno espressamente e chiaramente enunziate, atteso che il diritto del condomino di usare, godere e disporre di tali beni può essere convenzionalmente limitato soltanto in virtù di negozi che pongano in essere servitù reciproche, oneri reali o obbligazioni propter rem.

La verifica del titolo originario
Ne consegue l'invalidità delle clausole che, in via generica, riservino all'originario proprietario l'insindacabile diritto di modificare le parti comuni, con riflessi sull'intrasmissibilità della facoltà ai successivi acquirenti (Cassazione 5336/2017). In sintesi, nel caso concreto, andava verificato se gli originari costruttori avessero o meno voluto riservarsi il terreno-corte residuato dopo l'edificazione, mediante dichiarazione espressa o con atti di inequivoca manifestazione d'intento.

Ebbene, nella fattispecie, la nascita del condominio era data dal primo atto di trasferimento con cui essi cedevano alla figlia la piena proprietà di una determinata porzione immobiliare, parte del fabbricato in costruzione e – pur avendo precisato che la porzione di fabbricato ceduto confinasse con la corte del fabbricato in proiezione – non avevano fatto menzione esplicita di riserva di proprietà della residua corte. E spetta a chi pretenda l'appartenenza esclusiva di un bene, quale un cortile presunto comune, provarne la proprietà esclusiva su titolo contrario. Prova non fornita. Per tale ragione, la Corte di appello di Catanzaro accoglie l'impugnazione e dichiara la natura condominiale dello spazio in contestazione.

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