Locazione

È abuso del diritto l’ingiunzione improvvisa di canoni non richiesti

Va tenuto in debito conto sia il principio di «buona fede nell’esecuzione del contratto», quanto il dovere generale del «neminem laedere»

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di Annarita D’Ambrosio

Può configurarsi come abuso del diritto la richiesta repentina di adempimento di una obbligazione per anni non richiesta. Da questo principio nasce la decisione della Cassazione 16743/2021 depositata il 14 giugno e relativa a canoni locativi non corrisposti, poi repentinamente richiesti dal locatore, in unica soluzione e quindi gravando il conduttore di una somma cospicua da corrispondere, circa 200mila euro.

Il caso era quello di una Srl a gestione familiare che aveva dato in affitto un appartamento della società al figlio del socio maggioritario, anch’egli socio. A seguito di una serie di vicissitudini familiari, la Srl aveva intimato dopo sette anni lo sfratto per mancato pagamento dei canoni e chiesto la corresponsione di tutti gli arretrati. Per la Corte di appello di Milano non è irrilevante il fatto che fosse stata omessa ogni richiesta di pagamento dalla stipula del contratto nel 2004 sino al 2011 (data della prima richiesta di sfratto per morosità). Quindi è dalla data del 2011 che deve calcolarsi la somma da corrispondere al locatore, non prima. In 29 fitte pagine, la Cassazione precisa che va tenuto in debito conto sia il principio di «buona fede nell’esecuzione del contratto», quanto il dovere generale del «neminem laedere». Nel conduttore si era ingenerato «un affidamento nella remissione del diritto di credito da parte del locatore per fatti concludenti», non avendo nessuno richiesto per sette anni il pagamento del canone. Pertanto l’aver ingiunto poi la cifra per intero aveva prodotto danno solo al debitore, senza che venisse tra l’altro giustificato da parte del locatore il motivo della richiesta ritardata.

L’esercizio di un diritto non ne comporta la decadenza automatica, a meno che il ritardo non sia la conseguenza di una inequivoca rinuncia al diritto stesso. A far propendere i giudici verso le ragioni del conduttoreoltre alla repentinità della richiesta, ha pesato il fatto che i motivi del ritardo non erano da addebitarsi, ad esempio, ad un’improvvisa necessità di liquidità da parte dell’azienda locatrice (in difficoltà per una pandemia, si legge nella sentenza). L’adempimento era stato richiesto dopo sette anni solo a causa di una più forte sopravvenuta conflittualità tra le parti, cioè per le tensioni tra padre e figlio relative alla società.

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