Condominio

I consumi involontari vanno calcolati in base alle norme Uni 10200 ma l’assemblea è legittimata a derogarle

L’obbligo può decadere nel caso in cui si certifichino differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra due appartamenti

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di Selene Pascasi

Modalità e criteri da seguire per la redazione delle tabelle di ripartizione dei consumi involontari sono a discrezione dell'assemblea condominiale. Lo scrive il Tribunale di Roma con sentenza 12617/2022 .

I fatti di causa

Sollecita la pronuncia, l'impugnazione promossa dalle proprietarie di due appartamenti posti al quinto piano di uno stabile – dotati di impianto di riscaldamento autonomo, per distacco da quello condominiale – avverso la delibera con cui veniva approvata la tabella millesimale di riparto del consumo involontario. L'assemblea, spiegano, aveva deciso di affidare a un perito la redazione del progetto di contabilizzazione e di ripartizione dei costi dell'impianto di riscaldamento comune, e la predisposizione di un prospetto millesimale e di calcolo per il consumo involontario dell'energia termica. Ma, siccome quella perizia non veniva sottoposta all'approvazione, con una successiva assemblea e a seguito di criticità evidenziate da alcuni condòmini, si dava mandato all'amministratore di incaricare un tecnico che avrebbe poi stilato una relazione.

La richiesta delle ricorrenti

Relazione che, secondo le proprietarie, non aveva considerato le ingenti opere di ristrutturazione deliberate tra cui la coibentazione del tetto di copertura sovrastante alcune unità ed il rifacimento del lastrico. Noncuranza che, lamentano, aveva provocato inesattezze ed errori nel calcolo dei consumi termici inclusi quelli legati al consumo involontario. Pure le nuove rielaborate tabelle, sempre con riferimento al consumo involontario, erano state redatte senza espletare alcun sopralluogo negli appartamenti, senza tener conto delle ristrutturazioni ed in violazione della normativa. Chiedono, quindi, di dichiarare il deliberato invalido.

Il distacco non esonera dal pagamento della quota involontaria

Il Tribunale, però, boccia l'impugnazione. Per stessa ammissione delle donne, spiega, gli appartamenti di loro proprietà non fruivano più dell'impianto centralizzato e qualora un'unità se ne distacchi –seppur non fruisca del calore che la rete di distribuzione comune rende disponibile ai singoli appartamenti, nel punto di diramazione – non è esonerata del tutto dai costi di gestione. Se così fosse, il costo del calore utile all'uscita della caldaia andrebbe ripartito tra meno condòmini con conseguente aggravio di spesa. Ecco perché il distaccato è tenuto a corrispondere la quota parte millesimale del costo del calore disperso (calore involontario). In ogni caso, le signore non lamentavano l'attribuzione della percentuale posta a carico per il consumo involontario ma la scorretta redazione delle tabelle millesimali per il riparto di tali consumi involontari (quota fissa) per anomalie del progetto: non era stato preceduto da sopralluogo, trascurava il rilievo dei lavori espletati e violava i criteri legali.

La pronuncia del Tribunale

Si tratta di motivi infondati. Il primo, scrive il giudice, non era suffragato da prove e comunque era ininfluente sussistendo discrezionalità tecnica circa le modalità e i criteri da seguire per la redazione delle tabelle di ripartizione dei consumi involontari. Nessuna norma, inoltre, impone di allegare al progetto una misurazione di ogni unità per redigere le nuove tabelle, né di eseguire preliminarmente accessi e misurazioni in tutte le abitazioni. Circa, invece, l'asserita inosservanza dei criteri legali, va detto che il Dlgs 102/2014, di attuazione della Direttiva 2012/27/Ue, nel prevedere l'obbligo per i condomìni di dotarsi di sistemi di termoregolazione e contabilizzazione, sancisce che se siano alimentati da teleriscaldamento o teleraffreddamento, o sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento, per la corretta suddivisione delle spese connesse al consumo di calore per il riscaldamento, il raffreddamento delle unità immobiliari e delle aree comuni, e per l'uso di acqua calda a fini domestici, ove prodotta in modo centralizzato, l'importo complessivo debba essere diviso tra gli utenti finali, in base alla norma tecnica Uni 10200 e successive modifiche e aggiornamenti. E, se tale norma non sia applicabile o vi siano differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità superiori al 50%, sarà possibile suddividere tale importo complessivo tra gli utenti finali attribuendo una quota di almeno il 70% agli effettivi prelievi volontari di energia termica.

Ripartizione di quota volontaria e involontaria

In tal caso gli importi rimanenti potranno essere ripartiti, per esempio, secondo millesimi, metri quadri, metri cubi utili, o potenze installate. Ed è noto che la spesa annua di combustibile connessa al consumo di calore per il riscaldamento va divisa in due aliquote: quota volontaria, riconducibile all'azione del singolo che decide di utilizzare o meno il servizio di riscaldamento mediante la manopola nel radiatore; quota involontaria, dovuta principalmente alle dispersioni dell'impianto, non riconducibile all'azione dei singoli. Così, se la prima è ripartita secondo i consumi registrati dai termocontabilizzatori, la seconda segue una specifica tabella millesimale. In pratica, il calcolo della spese per i consumi involontari va fatto secondo le regole Uni 10200 determinando la percentuale di consumi addebitabile all'edificio (quota involontaria) per poi frazionarla fra tutti secondo la tabella millesimale. Ma tale obbligo di ripartizione può essere derogato dall'assemblea se si certifichino differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra due appartamenti.

Ricorso respinto

Nella vicenda, pertanto, il Condominio – incaricando un progettista di predisporre una perizia tesa a valutare e fissare la percentuale di consumo involontario, prima di adottare un criterio per determinarlo – si era mosso correttamente, e la delibera con cui l'assemblea ne aveva recepito le indicazioni era legittima e conforme alla normativa. Ragion per cui il Tribunale di Roma rigetta l'impugnazione formulata dalle proprietarie.

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