Condominio

I focus del venerdì: il compenso dell’amministratore in sede di rinnovo senza specificazione analitica

Si intende infatti uguale a quello già in precedenza pattutito

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di Rosario Dolce

Il fondo morosità e il compenso dell'amministratore in sede di rinnovo sotto le scure del Tribunale di Roma, il quale lancia - con la sentenza 7695 pubblicata il 16 maggio 2023 - due nuovi orientamenti giudiziali.

La vicenda processuale

Il caso è nato dalla impugnazione di una delibera dell'assemblea dei condòmini di un condomino capitolino, la quale disponeva, al fine di ovviare alla morosità atavica di un condòmino, di dare luogo alla costituzione di un fondo in grado di supplire alla deficienza contributiva, spalmando su tutti gli altri partecipanti la relativa quota debitoria.

La stessa adunanza degli aventi diritto, inoltre, in sede di domanda per la conferma del mandato (annuale) dell'amministratore, disponeva il “rinnovo” della investitura, seppure, nel qual caso, non precisando l'entità della somma di cui al compenso professionale (anzi - per come è dato leggere in sentenza - richiamando per relationem quanto precedentemente convenuto in sede di nomina del citato mandatario).

A fronte delle puntuali censure mosse da parte del condòmino in sede di gravame ex articolo 1137 Codice civile, il giudice monocratico capitolino si sofferma con dettaglio sulle questioni giuridiche sopite alle due fattispecie: esprimendo altrettanti orientamenti meritevoli di attenzione, visto la portata e il valore.

Il fondo morosità

Per quanto riguarda il “fondo morosità”, il decidente ha affermato che lo stesso va considerato come legittimo, per cui si è così convenuto, in dati casi (cioè quelli collegati all'urgenza), sulla pienezza del potere dell'assemblea dei condòmini di formalizzarne la costituzione, senza che questa soluzione inneschi logiche implicite di cui alla violazione del principio della proporzionalità dettato dall'articolo 1123 Codice civile.

A tal riguardo, per argomentare il fondamento della decisione assunta, è stata richiamato un precedente giurisprudenziale della Cassazione (sentenza 5 novembre 2001, numero 13631) secondo cui: «… in ipotesi d’effettiva improrogabile urgenza di trarre altrove le somme necessarie può ritenersi consentita una deliberazione assembleare con la quale, similmente a quanto avviene in un rapporto di mutuo, si tenda a sopperire all’inadempimento del condomino moroso con la costituzione d’un fondo cassa ad hoc tendente ad evitare danni ben più gravi nei confronti dei condòmini tutti, esposti, dal vincolo di solidarietà passiva operante ab externo, alle azioni dei terzi».

L'argomentazione di cui consta il provvedimento non si spinge oltre, al fine di offrire in comunicazione alcuni casi esemplificativi per cui può ritenersi raggiunto l'elemento di prova della addotta “urgenza a provvedere” e, anche la fattispecie trattata, marca genericamente il caso della necessità di ricorrere ad un fondo morosità, senza segnare le ragioni che motivavano la reale insolvenza del condòmino moroso, ovvero la sussistenza di atti giudiziari e procedure esecutive avviatesi a tal riguardo contro di lui in modo non satisfattivo.

Il compenso

Per quanto, invece, riguarda il compenso dell'amministratore, il giudice capitolino detta un nuovo orientamento “pro-mandatario” in grado di semplificare l'interpretazione dell'articolo 1129, comma 12, Codice civile, laddove precisa che: «L’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta».

Secondo il decidente capitolino, in particolare, «La disposizione va interpretata in conformità alla sua ratio, finalizzata ad evitare che i condòmini, durante il mandato o alla fine di esso, si possano trovare di fronte a pretese economiche dell'amministratore non previamente concordate. Tale rischio non sembra potersi concretizzare quando l'amministratore sia stato confermato nell'incarico, dal momento che - in tal caso - si intende anche implicitamente confermato il suo compenso già noto ai condòmini ed essi non correrebbero il rischio di trovarsi esposti a pretese impreviste».

E, aggiunge: «Si ritiene, dunque, che la “specificazione analitica” del compenso in sede di rinnovo sia da ritenersi requisito di validità della delibera solo nel caso in cui in sede di prima nomina (o comunque precedentemente al rinnovo dell'incarico) non fosse stato precisato il compenso».

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