Il regolamento di condominio può contenere anche solo alcune norme di natura contrattuale
Sono individuabili perché trascritte nei singoli rogiti e limitanti alcune funzioni dell’immobile
L’ ordinanza 17159 del 26 maggio 2022 della Cassazione può essere di aiuto ai fini della qualificazione delle norme di natura contrattuale inserite in un regolamento condominiale.
Ci riferiamo alle restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio - volte a vietare lo svolgimento di determinate attività all'interno delle unità immobiliari esclusive - che sono state qualificate come servitù reciproche. Si tratta di disposizioni che devono essere approvate come si farebbe con un contratto - esplicitando, quindi, un consenso inequivocabilmente connesso soggettivamente a tutti i condòmini - e la loro opponibilità ai terzi è possibile e rimane subordinata all'adempimento dell'onere di trascrizione.
Le limitazioni che incidono sulle funzioni dell’immobile
Tale pattuizione contrattuale con cui, al fine di imprimere determinate caratteristiche all'edificio, si impongono limitazioni (viene, a tal proposito, richiamato il “peso” di cui all'articolo 1027 Codice civile) alla libertà di utilizzazione delle porzioni di proprietà esclusiva, attengono non tanto all’attività personale dei condòmini, bensì alla proprietà del singolo immobile, incidendo oggettivamente, in modo negativo, sulla sua funzione ed arrecando vantaggio agli immobili contigui.
Configurandosi tali restrizioni di godimento delle proprietà esclusive, quindi, come servitù reciproche, intanto può allora ritenersi che un regolamento condominiale ponga limitazioni ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condòmini sulle unità immobiliari di loro esclusiva proprietà, in quanto le medesime limitazioni siano enunciate nel regolamento in modo chiaro ed esplicito.In particolare, la condivisa esigenza di chiarezza e di univocità che devono rivelare i divieti ed i limiti regolamentari di destinazione alle facoltà di godimento dei condòmini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva, coerente con la loro natura di servitù reciproche, comporta che il contenuto e la portata di detti divieti e limiti vengano determinati fondandosi in primo luogo sulle espressioni letterali usate.
Il tema dell’interpretazione delle clausole restrittive
L’articolo 1362 Codice civile, del resto, allorché nel primo comma prescrive all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto, anzi intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile (Cassazione 10290/2001; Cassazione 21576 /2019).
Ciò vuol dire che le clausole da calare in seno al regolamento contrattuale, ai fini della costituzione convenzionale delle reciproche servitù, devono essere in grado di esplicitare la volontà delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo mediante l’imposizione di un peso o di una limitazione su un altro fondo appartenente a diverso proprietario.Il contenuto poi di tale diritto di servitù si deve concretizzare nel corrispondente dovere di ciascun condomino di astenersi dal compiere attività vietate.Il provvedimento in commento, infine, conclude affermando che l’entità della compressione o della riduzione delle condizioni di vantaggio derivanti ai reciproci fondi dominanti, avviene perciò indipendentemente dalla misura dell’interesse del titolare del condominio o degli altri condòmini a far cessare impedimenti e turbative.