La contabilità condominiale tra preventivo, consuntivo, interessi e vizi della delibera
I condòmini «sono liberi di accordarsi tra loro sulla ripartizione delle spese comuni, purché sia rispettato l’articolo 1123 Codice civile»
La Cassazione, con la sentenza 27719 del 12 ottobre 2021 tratta, seppure incidentalmente, alcuni postulati contabili e le conseguenze giuridiche che discendono dall'errata applicazione di una tabella millesimale per la ripartizione di una data spesa condominiale. Esaminiamo i singoli punti per dettaglio.
Differenza dei piani di riparto tra preventivo e consuntivo
Le spese di manutenzione, conservazione e gestione della cosa comune si ripartiscono tra i partecipanti al condominio sulla base del preventivo di spesa, che ogni anno viene approvato dall’assemblea in uno al relativo riparto.Al termine di ciascun esercizio si redige poi il consuntivo, che viene del pari approvato dall’assemblea dell’ente di gestione, anche in questo caso in uno al relativo eventuale riparto, ove risultino conguagli in dare o in avere. Ora i due riparti - quello attinente al preventivo e quello conseguente al consuntivo - sono perciò totalmente diversi; il primo, infatti, serve a dividere tra i partecipanti al condominio le somme che si stimano necessarie per provvedere alla gestione della cosa comune nell’arco dell’anno; il secondo, invece, chiude la singola annualità contabile indicando i conti di saldo definitivi e le eventuali differenze a debito o credito.
Gli interessi
Ciò premesso i giudici si interrogano su come contabilizzare gli interessi generati dalle rimesse dei condòmini nel conto corrente condominiale, per evitare contestazioni strumentali tese ad inficiare una delibera che abbia approvato un rendiconto di gestione all'interno del quale sono state appostate.In punto viene riferito che una volta verificato che le disponibilità attive di pertinenza del condominio confluiscono sul conto corrente condominiale, gli interessi attivi sulle somme ivi depositate non possono che essere accreditate in conto; esse, dunque, risultano indicate necessariamente tra i movimenti in attivo sull’estratto del conto corrente comune, e pertanto sono inevitabilmente calcolati nel saldo del rapporto alla data di chiusura di ciascun consuntivo annuale.
Tuttavia, la mancata specificazione dell’importo di dette somme non implica alcuna variazione del risultato aritmetico finale, posto che comunque esse sono accreditate in conto corrente, e dunque risultano comprese nel saldo attestato dal relativo estratto conto. Fa eccezione l’ipotesi in cui l’amministratore, o altri, abbiano eventualmente distratto detti interessi attivi.
Il criterio convenzionale e la natura del vizio
I condòmini, infine, «sono liberi di accordarsi tra loro ai fini della ripartizione di tutte o alcune delle spese comuni, purché sia rispettata, a norma dell’articolo 1123 Codice civile, la quota posta a carico di ciascuno in proporzione al valore della rispettiva proprietà esclusiva» (Cassazione 602/1995; Cassazione 3245/2009).Da ciò consegue che in presenza di una tabella applicata di fatto, o comunque di un criterio di ripartizione seguito in concreto per un certo tempo, si configura una presunzione di vigenza del detto criterio di riparto della spesa. Nel qual caso, il vizio -ove mai esistente- non sarebbe causa di nullità della delibera assembleare, ma al massimo di annullabilità della stessa (Cassazione 10886/1999).