Condominio

La firma del nuovo amministratore non vale come prova del debito dei condòmini nei confronti del predecessore

Solo un’indicazione precisa del disavanzo in bilancio può attestare la fondatezza del credito

di Camilla Curcio

La firma del nuovo amministratore sui documenti che sanciscono il passaggio di consegne non attesta automaticamente l’esistenza del debito che il predecessore attribuisce ai condòmini e di cui reclama il rimborso. A ribadirlo è stata la Sesta sezione civile della Cassazione che, con l’ordinanza 34242/22 , depositata ieri, è ritornata a pronunciarsi sul tema delle anticipazioni, uno degli argomenti più dibattuti nel contesto del diritto condominiale.

I fatti di causa

Nel 2018, l’ex amministratore di uno stabile di Bassano del Grappa intimava al Condominio, tramite decreto ingiuntivo, il pagamento di 3913.07 euro, somma che sosteneva di aver versato sotto forma di compensi professionali e anticipazioni di spese per la gestione condominiale fino alla cessazione dell’incarico nel 2015. Contestato dai condòmini, il provvedimento è stato revocato dal giudice di pace sulla base dei risultati della consulenza tecnica d’ufficio. Nessuna speranza per il ricorrente neppure in appello: il Tribunale di Vicenza, infatti, rigettava la domanda presentata tre anni dopo, spiegando nel dettaglio come le motivazioni addotte fossero insussistenti.

La firma dell’amministratore neoeletto sui documenti consegnati (incluso il verbale sulla situazione patrimoniale del palazzo), infatti, non riconosceva alcun debito e la delibera assembleare di approvazione del rendiconto consuntivo, pur evidenziando un disavanzo tra entrate e uscite, non dimostrava che quella differenza corrispondesse effettivamente all’importo che l’amministratore dichiarava di aver versato di tasca propria. Inoltre, il giudice aveva reputato infondate anche le critiche rivolte alla Ctu, correttamente compilata dal consulente.

Nessuna traccia delle anticipazioni nei registri contabili

Al netto di un’evidente confusione nella gestione dei registri contabili causata dall’applicazione del criterio misto, l’esame dei documenti negava le argomentazioni del ricorrente. Dal libro cassa del 2014, emergeva nero su bianco come le anticipazioni dovute fossero state pagate (unitamente alle rate del compenso) e gli importi regolarmente riscossi dal diretto interessato. In più, come evidenziato dalla Ctu, risultava incomprensibile che, partendo da un bilancio in negativo per oltre 5700 euro, il ricorrente pretendesse un rimborso di oltre 3900 euro. Pertanto, il credito non poteva essere provato. Verdetto sostanzialmente confermato anche dalla Cassazione, che ha rigettato in toto l’impugnazione.

La decisione della Cassazione

Secondo la giurisprudenza, infatti, spetta all’amministratore giustificare la domanda di recupero dei crediti con prove inconfutabili. E, successivamente, all’assemblea, approvare col conto consuntivo incassi e spese condominiali. Ma solo un’indicazione precisa della cifra corrispondente al disavanzo può costituire prova idonea del debito dei condòmini nei confronti del precedente amministratore. Quanto all’irregolarità della Ctu per mancanza di contraddittorio, gli ermellini hanno spiegato come, sebbene la norma consenta al tecnico di operare in autonomia, le parti sono libere di «intervenire di persona sulle operazioni per mezzo dei propri consulenti tecnici e dei difensori, nonché presentare al consulente, per iscritto o a voce, osservazioni e istanze in merito».

Dunque, alla luce dei dati desunti dal registro contabile e in assenza di prove certe, la fondatezza del credito rimane indimostrabile. Pertanto, dichiarando il ricorso inammissibile, la Cassazione ha condannato il ricorrente a rimborsare al Condominio le spese legali (pari a 2500 euro), integrate di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

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