Nessun limite alla deroga dei criteri di ripartizione legale delle spese comuni
Chi ne è escluso ovviamente non si qualificherà quale comproprietario del bene
Non ci sono limiti alla deroga convenzionale dei criteri di ripartizione legale delle spese comuni quindi è legittimo sia un accordo che le divida tra i condòmini in misura diversa da quella legale, che quello che preveda l'esenzione totale o parziale – anche dei costi di conservazione – per alcuni dei partecipanti. In tale ultimo caso, si riterrà superata nei confronti degli esonerati la presunzione di comproprietà sulla relativa parte del fabbricato. Lo precisa la Corte di appello di Bari con sentenza 1862 del 27 ottobre 2021.
I fatti
Apre la causa, l'impugnazione di una delibera promossa da una proprietaria. A suo avviso, l'assemblea aveva spartito le spese di ristrutturazione straordinaria dell'androne in maniera illegittima seguendo il criterio generale della proprietà anziché quello contemplato da specifica tabella. Così facendo, le erano stati addebitati costi non dovuti. Di qui, la pretesa di dichiarare nulla o almeno annullabile la delibera.
Domanda respinta dal Tribunale: in un fabbricato, spiega, l'androne è l'ambiente d’accesso che consente il transito dal portone d'ingresso al cortile o alle scale e le spese di conservazione, godimento delle cose e servizi comuni, spettano ai condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno. Del resto, parti come l'androne sono necessarie per l'esistenza e sicurezza dello stabile. Ed essendo elementi strutturali vitali, se ne sancisce la presunzione legale di proprietà comune (salvo titolo contrario, nella vicenda non rinvenibile) dunque anche in capo ai proprietari di locali ubicati al piano terra che abbiano accesso dalla strada.
E neppure nel regolamento e nelle tabelle v'era una norma da cui desumere l'appartenenza dell'androne ai soli proprietari delle abitazioni. Analogamente, la tabella dei millesimi non lo includeva fra i beni di proprietà esclusiva. Così, conclude, non poteva attribuirsi rilievo alla delibera con cui la maggioranza dei condòmini aveva previsto programmaticamente l'esonero dei proprietari dei locali ubicati al piano terra dall'obbligo partecipativo alle spese di manutenzione straordinaria dell'androne. Ciò per due ragioni. Intanto l'assemblea si era limitata a deliberare sulle modalità di riparto delle spese manutentive senza incidere sull'alveo oggettivo di beni comuni in deroga al Codice civile. E poi l'esclusione della presunzione di condominialità esigeva un accordo scritto e totalitario, che mancava.
L’androne è condominiale se non esiste titolo contrario
In definitiva, essendo l'androne parte comune, le spese per la sua manutenzione gravavano su tutti con ripartizione proporzionale alle quote millesimali di ogni comproprietario. Tutti, infatti, potevano servirsene. La signora, non convinta, formula appello ma la Corte lo boccia. Il Tribunale, marca il Collegio, aveva ben qualificato l'androne come bene condominiale e l'articolo 1123 del Codice civile dispone che le spese per la conservazione e per il godimento delle parti comuni, per la fruzione dei servizi comuni e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza, spettano ai condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ognuno, salvo altra convenzione.
Peraltro, scale e androne sono elementi strutturali necessari all'edificazione dello stabile ed indispensabili per accedere al tetto ed al terrazzo di copertura dunque, eccetto titolo contrario, conservano la qualità di parti comuni anche per i proprietari di negozi o locali terranei aventi accesso dalla strada, poiché anch'essi ne fruiscono. Ne consegue l'applicabilità per tali aree della tabella millesimale generale ai fini del computo dei quorum per la divisione delle spese dei lavori di manutenzione straordinaria e l'eventuale ricostruzione. Inevitabile, allora, il rigetto dell'impugnazione da parte della Corte di appello di Bari.
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