Affitti equo canone: i conduttori hanno diritto al rimborso di quanto pagato in più
La Cassazione richiama il principio del diritto sopravvenuto: quando si susseguono differenti normative la legge successiva sostituisce la precedente anche per il pregresso
La cosiddetta legge sull'equo canone, ha rappresentato un'enorme conquista per la tanta parte di popolazione che deve sobbarcarsi, mese dopo mese, l'onere di una pigione per dare soddisfo al proprio diritto all'abitazione. Difatti, avere la certezza legale che il canone corrisposto non potrà mai superare un dato importo, è a dir poco fondamentale per gli inquilini italiani. La Cassazione civile, con sentenza numero 27806 del 12 ottobre 2021, si è pronunciata in merito ad una vicenda alquanto peculiare, ed ha elaborato un principio di diritto che rappresenta un'ulteriore notevole garanzia per chi ha in corso un contratto di locazione ad uso abitativo.
La vicenda
Tutto parte da un contratto di locazione concluso e debitamente registrato nell’anno 1989, in forza del quale il conduttore si impegnava ad un canone pari a 300.000 di vecchie lire, maggiorato, in forza di scrittura privata sottoscritta alla stessa data di stipulazione, nella misura di 600.000 vecchie lire. Nel corso degli anni, il canone trimestrale di locazione, che il conduttore asseriva di avere sempre puntualmente pagato, veniva rideterminato: una prima volta, nell’aprile 1995 (nell’importo pari a 1.900.000 di vecchie lire); poi in euro 1.084,56 e successivamente in euro 1.500,00. Con sua grande sorpresa, nell'anno 2009 il conduttore veniva convenuto innanzi al Tribunale con l'intimazione di sfratto per finita locazione e la contestuale citazione per la convalida.
A questo punto, egli denunciava di aver sempre illegittimamente pagato un canone doppio rispetto a quello pattuito nel 1989; conseguentemente, si determinava a chiedere la ripetizione di quanto indebitamente corrisposto a parte locatrice. Essendo tale sua richiesta rimasta senza esito, il conduttore si rivolgeva ai giudici, esperendo autonoma azione di ripetizione di indebito. Rigettata la domanda sia in primo che in secondo grado, il conduttore decide di ricorrere in Cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Genova.
Equo canone e diritto sopravvenuto
Per analizzare adeguatamente il ragionamento giuridico che porta la Corte ad elaborare un principio di diritto molto interessante in tema di equo canone, occorre partire dall'errore di diritto della Corte territoriale. In buona sostanza, secondo i giudici d'appello, il contratto di locazione per cui è causa risultava sottratto all’applicazione della disciplina sul cosiddetto equo canone, di cui al capo I della legge 27 luglio 1978 numero 392; la ragione di tale esclusione, sarebbe riconducibile a quanto previsto dall’articolo 26, comma 2, della stessa legge.
Cosa prevede l'articolo in parola? Esso di fatto sottrae all’applicazione della legge sull’equo canone i contratti relativi ad immobili destinati ad uso abitativo siti in Comuni che, al censimento del 1971, avevano popolazione residente fino a 5.000 abitanti. Il tutto a condizione che, nel quinquennio precedente l’entrata in vigore della legge, e successivamente ogni quinquennio, la popolazione residente non abbia subito variazioni in aumento; o comunque, che l’aumento percentuale sia stato inferiore a quello medio nazionale, secondo i dati pubblicati dall’Istat. Per negare l’applicabilità al caso di specie della previsione normativa appena illustrata, il conduttore si affida al rilievo di aver fornito dimostrazione in giudizio che il Comune di residenza versasse, al momento della stipulazione del contratto di locazione, in una situazione di “tensione abitativa”.
Secondo la Cassazione, l'articolo 26 della legge 392/1978 non dà affatto rilievo ad alcuna situazione di “tensione abitativa”. La circostanza che il conduttore abbia fatto ricorso al fatto notorio locale che, dal 1971 al 1989, il suo Comune di residenza non abbia subito alcuna variazione in aumento di popolazione, non ha rilievo processuale. Difatti, il ricorso al fatto notorio, attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, non sempre sindacabile in sede di legittimità. A nulla vale neppure l'ulteriore contestazione mossa dal conduttore circa la documentazione prodotta in appello dalla parte locatrice, tesa a dimostrare che la popolazione del Comune di residenza abbia subito una diminuzione nel periodo tra il 1971 ed il 2011.
Il ragionamento della Suprema corte
Difatti, nel rito del lavoro, cui soggiace anche quello locatizio, l’acquisizione di nuovi documenti o l’ammissione di nuove prove da parte del giudice di appello, rientra tra i poteri discrezionali allo stesso riconosciuti dagli articoli 421 e 437 del Codice di procedura civile, e tale esercizio è insindacabile in sede di legittimità. Alla luce delle argomentazioni che precedono, gli ermellini non ravvisano il fulcro della vicenda negli elementi difensivi e decisori caratterizzanti il giudizio di secondo grado.Ad avviso della Cassazione, occorre porre al centro della riflessione giuridica una nozione ben precisa: il cosiddetto diritto sopravvenuto.
Quando nella disciplina di un dato rapporto giuridicamente rilevante si susseguono nel tempo differenti normative, ed il rapporto risulta essere in corso anche sotto la vigenza della legge successiva, sarà quest'ultima a disciplinarlo. In tema di locazioni ad uso abitativo, il legislatore ha varato nel 1998 la legge numero 431, che è andata a riscrivere in massima parte la precedente legge 392. La domanda da porsi a questo punto è una soltanto: cosa succede ai contratti di locazione nati sotto la legge del 1978 e rinnovati sotto la legge del 1998?Secondo la Cassazione: «la rinnovazione tacita di un contratto con canone ultralegale, intervenuta successivamente all’entrata in vigore della legge 431/1998, legittima il conduttore ad esercitare l’azione prevista dall’articolo 79 della legge 392/1978, onde ottenere l’applicazione del canone cosiddetto equo, determinato ai sensi degli articoli 12 e seguenti della citata legge, a decorrere dall’origine del contratto e fino alla sua naturale scadenza, ivi compreso il periodo successivo alla rinnovazione tacita avvenuta nel vigore della legge 431/1998, con sostituzione imperativa del canone convenzionale ai sensi dell’articolo 1339 del Codice civile».
Tornando al caso di specie, la relazione contrattuale era sottratta all’applicazione del capo I della legge sull’equo canone; sicché, una volta entrata in vigore la nuova legge prevista per le locazioni ad uso abitativo, non vi era ragione per escludere, in occasione del primo rinnovo, l’applicazione dell’articolo 13, comma 1, della legge 431/1998, che sancisce la nullità della pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato.
Conclusioni
L'analisi di diritto che la Cassazione ha svolto nella sentenza in esame, trova il suo punto di caduta e di sintesi nel seguente e rilevante principio di diritto: «ai contratti conclusi anteriormente all’entrata in vigore della legge 431/1998, e rinnovatisi dopo la sua entrata in vigore, ma non assoggettati al momento della stipulazione alla disciplina di cui al capo I della legge 27 luglio 1978, numero 392, si applica l’articolo 13 della predetta legge numero 431 del 1998, con conseguente diritto del conduttore, a far data dalla prima rinnovazione successiva all’entrata in vigore del “diritto sopraggiunto”, a ripetere il canone di locazione versato in misura superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato». Possiamo dunque dire che, da qui in avanti, tutti gli inquilini che dovessero trovarsi nella situazione in cui si è trovato il conduttore per la cui vicenda i giudici di Piazza Cavour hanno deliberato, possono fare affidamento su di una certezza ed una garanzia in più.