Il CommentoCondominio

Casa assegnata al coniuge separato ma non proprietario: non vale il principio dell’apparenza

Sull’amministratore grava un dovere di prendere piena contezza della situazione dominicale relativa alle singole unità abitative

di Pietro Marzotti

È da paoco giunta al vaglio del giudice di legittimità la questione inerente alla ripartizione degli oneri condominiali tra il coniuge proprietario esclusivo dell'unità abitativa posta all'interno di un edificio condominiale e l'altro coniuge cui la medesima sia stata assegnata quale casa familiare nell'ambito della separazione personale ( si veda NT+ Condominio del 25 maggio scorso ). La Corte (sentenza 16613/2022) ha fatto richiamo agli approdi giurisprudenziali raggiunti in tema di unità abitativa concessa in locazione, laddove la giurisprudenza di legittimità non sembra mai aver nutrito dubbi sul fatto che l’amministratore del condominio, in base al combinato disposto degli artt. 1118 e 1123 c.c. e 63, comma 1, disp. att. c.c., abbia diritto di riscuotere i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell’interesse comune direttamente ed esclusivamente da ciascun condomino, e cioè da ciascuno dei titolari di diritti reali sulle singole unità immobiliari, restando esclusa un’azione diretta nei confronti del conduttore della singola unità immobiliare.

La Suprema Corte ribadisce, altresì, come non trovi applicazione, nell'ambito della disciplina condominiale, il principio dell'apparenza che –strumentale alla tutela dei terzi in buona fede- non può essere invocato quale elemento determinante una diversa legittimazione passiva fondata sulla esteriorità della situazione dominicale inerente alla singola unità abitativa, per la quale assume esclusivo rilievo la titolarità del diritto. L'incombenza sull'assegnatario delle spese correlate all'uso dovrà allora, parimenti, considerarsi aspetto di rilievo nei soli rapporti intercorrenti tra proprietario ed assegnatario medesimo. Viene in definitiva enunciato il principio di diritto per cui «l’amministratore di condominio ha diritto di riscuotere i contributi per la manutenzione e per l'esercizio delle parti e dei servizi comuni esclusivamente da ciascun condomino, e cioè dall'effettivo proprietario o titolare di diritto reale sulla singola unità immobiliare, sicché è esclusa un’azione diretta nei confronti del coniuge o del convivente assegnatario dell'unità immobiliare adibita a casa familiare, configurandosi il diritto al godimento della casa familiare come diritto personale di godimento “sui generis”».

Il principio dell'apparenza in àmbito condominiale

È affermazione ricorrente nelle pronunce della Suprema Corte (sin da Cassazione civile Sez. Un., 8 aprile 2002, n.5035) quella secondo la quale sarebbe sconosciuto alla disciplina condominiale il principio giuridico dell'apparenza, con la conseguenza che l'amministratore condominiale che equivochi sulla identità del titolare del diritto di proprietà della singola unità abitativa non può invocare il principio dell'affidamento incolpevole in ragione di un'apparenza fattuale divergente dalla situazione di diritto. Le motivazioni poste alla base di tale esclusione risiedono innanzitutto nella considerazione per cui il principio dell'apparenza presiede, nelle sue varie applicazioni, alla tutela di un soggetto terzo che ripone fiducia in una esteriorità che lo induce ad un errore incolpevole: esempio paradigmatico è quello –enucleato all'articolo 1189 c.c.- del “pagamento al creditore apparente”, dove le “circostanze univoche” e la buonafede del debitore valgono ad attribuire effetto solutorio al pagamento effettuato nelle mani di chi creditore non è.

A mancare, nel condominio, sarebbe proprio la relazione di terzietà che opera quale presupposto del principio dell'apparenza, dal momento che il condominio è esso stesso parte del rapporto giuridico che lo lega ai condòmini. In secondo luogo, deve constatarsi come il principio dell'apparenza opera in quelle fattispecie nelle quali se non venisse dato rilievo alla situazione di fatto risultante esteriormente e corrispondente all'esercizio di un diritto, il rapporto giuridico non sorgerebbe affatto (come accade ad esempio nel caso della c.d. società apparente), mentre nel contesto del condominio l'obbligazione del singolo condomino nei confronti del soggetto condominiale trova la propria fonte direttamente nella legge, in particolare agli articoli 1118 e 1123 c.c. e 63 disp. att. c.c. (v. in questo senso A. MAZZIERI, Spese condominiali ed accertamento della titolarità dell’immobile, la Suprema Corte pone termine a un dibattito ventennale sull’apparenza del diritto, commento a Cassazione civile sez. un., 8 aprile 2002, n.5035, in Giust. civ., 9, 2003, p. 1901: “Considerato che la disciplina dettata dagli art. 1123 c.c. e 63 disp. att. c.c. individua aprioristicamente i criteri di attribuzione degli oneri condominiali, il principio dell’apparentia iuris - connesso all’esigenza di tutela dell’affidamento incolpevole ovvero della buona fede del terzo che, senza colpa, abbia fatto affidamento su di una determinata situazione esistente solo in apparenza - non troverebbe, nel caso di specie, i necessari presupposti applicativi risolvendosi piuttosto nell’arbitraria sostituzione di un rapporto giuridico di natura preterlegale ad un rapporto giuridico intercorrente tra condominio e condomino per espressa previsione legislativa”).

Si può ulteriormente osservare che il meccanismo operativo dell'apparentia iuris non può produrre l'effetto di fondare una pretesa di adempimento nei confronti di chi non sia debitore, ma solo quello di individuare il titolare di un diritto a fronte di una situazione di fatto non corrispondente alla situazione di diritto ed in presenza di un terzo in buonafede che sia incorso in un errore scusabile. La scusabilità dell'errore deve ritenersi elemento imprescindibile affinché operi il principio dell'apparenza, dal momento che ciò che distingue l'apparenza dal mero errore è che mentre la prima guarda ad una obiettività fattuale, il secondo ha carattere soggettivo; ne discende che il solo errore su cui può fondarsi un'apparenza giuridicamente rilevante è quello che derivi da circostanze esteriori che fondino una ragionevole convinzione sulla coincidenza tra situazione di fatto e situazione di diritto (in questo senso si veda E. DITTA e E. AVOLIO, “Il principio dell’apparenza del diritto nell’individuazione del legittimato passivo per la ripartizione delle spese condominiali”, nota a Cassazione civile sez. un., 8 aprile 2002, n.5035, in Riv. giur. ed., 6, 2003, p. 1453: «tale affidamento viene sempre accompagnato da caratteristiche che ci consentono di considerarlo atecnicamente un “affidamento qualificato”; inoltre, si ricorre al principio dell’apparenza del diritto sempre come extrema ratio, vale a dire nei casi in cui non sarebbe comunque possibile ricorrere ad alcun altro mezzo di tutela legale»).

L’anagrafe condominiale

Pare conseguenza del legame indissolubile che intercorre tra titolarità del diritto reale sull'unità abitativa e onere di pagamento delle spese condominiali la predisposizione di uno strumento quale l'anagrafe condominiale, la cui tenuta rientra tra gli obblighi dell'amministratore a norma dell'articolo 1130 co.1 n.6 c.c., e nel quale sono indicate, tra gli altri elementi, anche “le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio”, con l'onere per i condòmini di comunicare in forma scritta ogni variazione dei dati entro sessanta giorni e l' attribuzione all'amministratore –in caso di inerzia dei condòmini, mancanza o incompletezza delle comunicazioni- di procedere alla richiesta con lettera raccomandata delle informazioni necessarie ai fini della tenuta del registro, con l'ulteriore previsione della possibilità di acquisire “le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai responsabili” in caso di omessa o incompleta risposta, decorsi trenta giorni dalla richiesta a mezzo raccomandata.

Tale articolato sistema pubblicitario pare allora in grado di rafforzare ancor più la convinzione della non operatività del principio dell'apparenza giuridica in àmbito condominiale, essendosi giustamente fatto notare come “appare condivisibile tutelare una situazione di fatto, sussumendola in una prospettiva di tipo legale, soltanto ove il terzo, neanche adoperando la normale diligenza, avrebbe potuto venir a conoscenza di quanto accadeva in una prospettiva di fatto” (così N. MONTICELLI, “Quando la «formalità sufficiente» esclude l’operatività e la tutela del principio dell’apparenza del diritto”, nota a Cassazione civile sez. un., 8 aprile 2002, n.5035, in Giust. civ., 7-8, 2003, p. 1641), situazione in cui ovviamente non versa l'amministratore.

Assegnazione della casa familiare

La vexata quaestio della natura del diritto che su un immobile acquista il coniuge non proprietario che risulti assegnatario della casa familiare può ormai dirsi definitivamente risolta –a partire da Cass. civ. Sez. Un., 26 luglio 2002, n.11096 - in favore dell'inquadramento di tale diritto tra i diritti personali di godimento, che delinea per il coniuge assegnatario una posizione assai vicina a quella di un conduttore (di questa vicinanza dà conto del resto anche la pronuncia innanzi richiamata), sebbene in questo caso il godimento del bene non sia giustificato dal pagamento di un corrispettivo, ma sia piuttosto frutto di un provvedimento giudiziale che tiene prioritariamente conto dell'interesse dei figli della coppia in crisi; l'unica conseguenza lato sensu economica che si produce in favore del coniuge proprietario non assegnatario consisterà nella necessaria considerazione dell'attribuzione ai fini della determinazione dell'eventuale assegno di mantenimento; salva questa precisazione, l'attribuzione resta intrinsecamente gratuita ma la gratuità non è smentita dall'onere, incombente su chi dell'immobile abbia il godimento, di sopportare le spese inerenti al godimento stesso (esattamente come in un comodato non verrebbe perso il carattere di gratuità laddove a carico del comodatario fossero poste prestazioni accessorie, purché non esorbitanti dall'àmbito della prestazione modale).

La stessa Cassazione, del resto, ha specificato che “in tema di separazione personale, l’assegnazione della casa familiare esonera l’assegnatario esclusivamente dal pagamento del canone, cui altrimenti sarebbe tenuto nei confronti del proprietario esclusivo (o, “in parte qua”, del comproprietario) dell’immobile assegnato, onde, qualora il giudice attribuisca ad uno dei coniugi l’abitazione di proprietà dell’altro, la gratuità di tale assegnazione si riferisce solo all’uso dell’abitazione medesima (per la quale, appunto, non deve versarsi corrispettivo), ma non si estende alle spese correlate a detto uso (ivi comprese quelle, del genere delle spese condominiali, che riguardano la manutenzione delle cose comuni poste a servizio anche dell’abitazione familiare), onde simili spese - in mancanza di un provvedimento espresso che ne accolli l’onere al coniuge proprietario - sono a carico del coniuge assegnatario” (Così Cassazione civile sez. I, 19/09/2005, n.18476).

È a questo punto, tuttavia, che rischia di prodursi un errore di carattere concettuale, ovvero quello di credere che il fatto che gli oneri correlati all'uso dell'immobile gravino sull'assegnatario (il che, a ben vedere, è ovvio, considerato che affermare ciò significa affermare che le spese inerenti al godimento gravano su chi, di detto godimento, dispone) produca rilevanza non solo nei rapporti interni fra coniugi, ma anche nei confronti dei terzi, ed in particolare del condominio, determinando uno spostamento della legittimazione passiva in capo all'assegnatario nel caso di azione intrapresa dall'amministratore a fronte del mancato pagamento. L'errore è agevolato dal fatto che il provvedimento di assegnazione è suscettibile di trascrizione ex art. 2643 c.c.; certamente tale adempimento pubblicitario produce il classico effetto della pubblicità dichiarativa, vale a dire l'effetto di rendere opponibile l'atto ai terzi che dovessero acquistare diritti sull'immobile.

Tra questi terzi, però, non vi è il condominio: la determinazione del soggetto sul quale gravano le spese condominiali, come si è già accennato, ha esclusivo riguardo alla titolarità del diritto di proprietà sull'immobile; la trascrizione, rispetto a tale principio, non gioca alcun ruolo neanche nel caso, ancor più significativo, in cui il proprietario effettivo –in virtù del principio del consenso traslativo- avesse acquistato il diritto in base ad un atto non trascritto: financo laddove dai registri immobiliari l'unità abitativa risultasse ancora di proprietà di altro soggetto, ciò non produrrebbe conseguenza alcuna sul fronte della legittimazione passiva nell'ambito dell'azione volta a recuperare le spese condominiali non corrisposte, che continuerebbe a spettare al titolare del diritto.

Dall'applicazione di detto principio deriva la conseguenza per cui s ull'amministratore grava un dovere di prendere piena contezza della situazione dominicale relativa alle singole unità abitative prima di agire in giudizio e soprattutto l'onere di provare la titolarità della proprietà in capo a chi egli conviene in giudizio onde ottenere il pagamento degli oneri non corrisposti; si è riconosciuto che “al riguardo, la mera consultazione dei registri immobiliari si rivela inidonea allo scopo, poiché la trascrizione dell’atto svolge una funzione primaria di pubblicità dichiarativa (opponibilità dell’atto a terzi) ma in nessun caso produce efficacia costitutiva dell’acquisto” (così ancora A. MAZZIERI, Spese condominiali ed accertamento della titolarità dell’immobile, la Suprema Corte pone termine a un dibattito ventennale sull’apparenza del diritto, cit.)