Condominio

Condanna del condominio e legittimazione ad impugnare del singolo condomino

Quest’ultimo deve poter esercitare il suo diritto di difesa o mediante intervento volontario o successivamente, impugnando il provvedimento

immagine non disponibile

di Giovanni Maria Sacchi – magistrato ordinario presso il Tribunale di Savona

L'ordinanza in commento si pone sulla scia di quanto affermato dalle Sezioni unite 10934 del 2019 in merito alla legittimazione del singolo condomino ad impugnare la pronuncia resa nei confronti del condominio, contribuendo a dar vita ad un indirizzo sostanzialista che – confermando implicitamente la natura parziaria della responsabilità derivante delle obbligazioni condominiali e accantonando l'eterna discussione, mai del tutto sopita, in merito alla identificazione del condominio come un «ente di gestione» - valorizza il diritto di difesa del singolo, costituzionalmente garantito (articolo 24 Costituzione).

La legittimazione ad agire ed il suo fondamento
Per giustificare la legittimazione del condomino ad opporsi al titolo venutosi a formare nei confronti del condominio, la Corte pone in rilievo l'ingiusta esposizione alla procedura esecutiva che il singolo condomino potrebbe subire, seppur limitatamente alla propria quota (articolo 63 disposizioni attuative Codice civile), ove non fosse legittimato ad agire e a resistere in giudizio.

I fatti
Nella vicenda specifica un condomino proponeva opposizione tardiva ex articolo 650 Codice procedura civile ad un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Napoli, eccependo di aver ricevuto un atto di precetto in virtù di un provvedimento monitorio notificato ad un amministratore privo del potere rappresentativo, in quanto lo stesso era stato revocato diversi anni prima dal medesimo Tribunale. Il Giudice di prime cure respingeva l'opposizione accogliendo l'eccezione di difetto di legittimazione attiva, ritenendo che soltanto il condominio ingiunto avrebbe potuto effettuare opposizione al decreto.

La decisione si riportava ad alcuni precedenti della Cassazione (in particolare, Cassazione 8150/2017, Cassazione 1289/2012 e 23693/2011) che avevano affermato l'alterità soggettiva fra condomino e condominio, per cui il primo non avrebbe potuto opporsi ad un decreto ingiuntivo emesso nei confronti del secondo. Con un unico motivo di ricorso il condomino adiva la Suprema corte, asserendo che non vi fosse un problema afferente alla propria legittimazione processuale bensì a quella dell'amministratore, il quale, non trovandosi in regime di prorogatio dei suoi poteri – situazione tipica del mandato scaduto non rinnovato dall'assemblea, assolutamente non parificabile alla revoca – non era legittimato a compiere atti di gestione in favore della compagine condominiale.

La legittimazione concorrente del condòmino
La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, ha affermato che i precedenti richiamati dal Tribunale partenopeo sulla alterità soggettiva tra «parte condominio» e «parte condomino» non potessero più considerarsi attuali alla luce di quanto affermato dalla Cassazione Sezioni unite 18 aprile 2019 numero 10934, la quale ha chiarito che nelle controversie condominiali che investono i diritti dei singoli su parti comuni ciascun condomino ha una concorrente legittimazione ad agire e a resistere in giudizio a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota” , operando la regola sulla rappresentanza dell'amministratore di cui all'articolo 1131 Codice civile solo come norma volta a semplificare e favorire l'instaurazione del contraddittorio.

In alcuni casi, ha aggiunto la Corte, vengono in rilievo peculiari ipotesi in cui non sussiste l'esercizio di diritti reali del singolo su parti comuni bensì controversie intese a soddisfare «esigenze collettive della comunità condominiale», come nel caso delle vertenze sorte nei confronti del condominio per il pagamento di obbligazioni condominiali contratte dall'amministratore per conto dei partecipanti, o per dare esecuzione a delibere assembleari. In queste ipotesi la legittimazione deriva dal fatto che il titolo può essere messo in esecuzione nei confronti dei singoli condòmini, ciascuno secondo le relative quote di responsabilità per inadempimento (Cassazione 40857/2017).

La Corte ha sottoposto, quindi, a verifica la correttezza del suo ragionamento richiamando un proprio precedente in cui era stato affermato che non potesse essere concesso al singolo condomino lo strumento dell'opposizione di terzo ordinaria ex articolo 404, comma 1, Codice procedura civile, non vantando il singolo una posizione giuridica autonoma rispetto a quella del condominio, bensì direttamente il diritto di intervenire e di esperire gli ordinari mezzi di impugnazione avverso tali pronunce (Cassazione 4436 del 2017 richiamata).

Solidarietà e parzarietà delle obbligazioni condominiali
Il tema della responsabilità pro quota rievoca più a monte l'antica questione della solidarietà o parziarietà delle obbligazioni condominiali sorta antecedentemente alla riforma del 2012, problematica che diede luogo, a sua volta, alla creazione della alterità soggettiva del condominio al fine di evitare la proliferazione dei giudizi nei confronti dei singoli. In sintesi, “reo” fu l'orientamento di legittimità che, resosi velatamente conto delle gravi conseguenze che derivavano dalla responsabilità solidale del singolo condomino per le obbligazioni contratte dal condominio, stabilì che le obbligazioni in questione, avendo ad oggetto somme di denaro come tali divisibili, dovessero considerarsi parziarie, con il conseguente obbligo per il terzo di dover agire pro quota nei confronti dei singoli condomini (Cassazione Sezioni unite 8 aprile 2008 numero 9148).

La decisione suscitò forti perplessità da parte di chi, non a torto, aveva osservato che la solidarietà non dipendesse dalla natura “divisibile” o meno della prestazione ma dovesse essere considerata come un meccanismo di favore per il soddisfacimento delle ragioni del creditore, operativo solo se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente, ex articolo 1294 Codice civile ( Pellegrino, La soluzione sbagliata per un problema giusto: la sentenza Cassazione, Sezioni unite, 8 aprile 2008, numero 9148, in Giurisprudenza Italiana, 2009; Bacciardi, Dalla solidarietà alla parziarietà: il revirement delle Sezioni unite sul regime attuativo del condebito condominiale, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2008, I).

Di contro, per evitare la moltiplicazione dei giudizi nei confronti dei singoli, quantomeno nella fase della formazione del titolo, nella giurisprudenza si fece successivamente strada l'idea che il condominio fosse un centro autonomo di imputazione di diritti e obblighi e, come tale, pur non avendo una personalità giuridica, vivesse di elementi tipici della alterità soggettiva analoga a quella degli schemi societari, e, quindi, di una sua autonoma - anche se limitata - personalità (Cassazione Sezioni unite 18 settembre 2014 numero 19663).

Le novità introdotte dalla riforma
Rinvigoriva così la controversa figura del condominio quale “ente di gestione”, sul presupposto che la legge 220/20112 – avendo previsto l'obbligo dell'amministratore di tenere distinta la gestione del patrimonio del condominio da quella personale dei condòmini, così come la costituzione di un fondo speciale, prevista dall’articolo 1135 Codice civile, numero 4) e, soprattutto, l'onere di indicare l’eventuale denominazione, l’ubicazione e il codice fiscale nella nota di trascrizione di cui al riformulato articolo 2659 Codice civile – avesse voluto imprimere una limitata soggettività giuridica alla compagine condominiale.

Anche su questo punto le perplessità dottrinarie non si fecero attendere. Alcuni autori, infatti, vedevano il condominio come esempio di comunione nei diritti piuttosto che soggetto distinto dai singoli condòmini, mentre altri come una proprietà plurima parziaria priva di un soggetto dotato di una sua autonoma rappresentatività (Siclari, Le obbligazioni condominiali tra dogmatica e prassi, in Busnelli-Breccia (a cura di), Le “nuove” obbligazioni solidali: principi europei, orientamenti giurisprudenziali, interventi legislativi, Padova, 2016). In precedenza, lo stesso relatore dell'ordinanza che qui si annota aveva già affermato, in dottrina, che l'assenza di un patrimonio separato e di uno scopo non potesse lasciar propendere per alcun tipo di accostamento alla soggettività giuridica tipica del modello societario, consistendo il condominio in una semplice sommatoria di interessi individuali finalisticamente rivolta alla valorizzazione delle singole proprietà, come desumibile dall'articolo 1117 Codice civile (Scarpa, Le obbligazioni del condominio. Struttura ed effetti, Giuffré, 2007).

Il novellato articolo 63 disposizioni attuative
La sintesi delle due tematiche va rintracciata – come pregevolmente ha fatto la pronuncia in commento – proprio nel nuovo articolo 63 delle disposizioni attuative del Codice civile così come modificato dalla legge 220/2012, il quale, andando ad inserire nel tessuto codicistico proprio l'eccezione legislativa alla regola generale di cui all'articolo 1294 Codice civile, ora prevede che «per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo nonostante opposizione, ed è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condòmini morosi. I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condòmini».

Secondo alcuni autori, il legislatore avrebbe optato per il criterio della obbligazione pro quota, seppur a carattere sussidiario nei confronti dei non morosi (Celeste-Scarpa, Riforma del condominio. Primo commento alla legge 11 dicembre 2012, Giuffrè, 2012); secondo altri, invece, i condòmini, pur avendo un grado diverso, sarebbero tutti obbligati secondo il modello della solidarietà “disuguale” o attenuata, sulla falsa riga del controverso meccanismo di cui al 1298 Codice civile (Basile, I diritti e i doveri dei condòmini, in Riforma del condominio 2013, in Trattato dei diritti reali, a cura di Basile, Giuffrè, 2013); secondo un terzo orientamento, invece, la riforma configura un duplice livello di solidarietà, ossia quello sussistente fra i condòmini morosi e quello esistente fra i condòmini in regola con i pagamenti (Colonna, Del condominio negli edifici. Della proprietà, in Commentario Gabrielli, a cura di Jannarelli e Macario, Utet, 2013).

In verità, con riferimento alla soggettività del condominio, a distanza di un mese dalla pronuncia a Sezioni unite 10934 del 2019 la Suprema corte è tornata sulla questione affermando la possibilità per il creditore di escutere il condominio riconoscendo a quest'ultimo il ruolo di terzo espropriato (Cassazione 14 maggio 2019, numero 12715, con nota di Laura Baccaglini, Debito condominiale ed espropriazione forzata presso terzi. La Cassazione riconosce soggettività giuridica in capo al condominio, in Esecuzione forzata, 2020).

La non estraneità dal giudizio
Con la pronuncia in commento è possibile affermare che la Cassazione ha preso posizione su entrambe le questioni (implicitamente sulla natura dell'obbligazione ed esplicitamente sulla continenza della posizione processuale) nella misura in cui chiarisce che il titolo può essere formato nei confronti del condominio, rappresentato dall'amministratore, solo ed esclusivamente per una esigenza di semplificazione del contraddittorio, fermo restando che quel titolo così costituito darà luogo alla escussione dei singoli condòmini pro quota, ciascuno secondo le proprie responsabilità. Di conseguenza, il singolo condomino deve poter esercitare il suo diritto di difesa o mediante intervento volontario o successivamente, impugnando il provvedimento che va implicitamente a formarsi anche nei suoi confronti.

Del resto, se affermiamo che il condomino non è legittimato alla impugnazione ex articolo 404 Codice procedura civile in quanto non estraneo al giudizio, sarebbe poi illogico negargli lo strumento dell'opposizione al decreto ingiuntivo formato nei confronti del condominio in quanto “terzo” rispetto a quest'ultimo, relegando il singolo a vittima assenteista di ogni sede giudiziale. Si compie, quindi, un secondo importante passo verso la piena legittimazione processuale del singolo che non deve far cadere l'interprete nell'equivoco di ritenere proponibile l'opposizione del condomino al decreto ingiuntivo (o alla opposizione all'esecuzione, a seconda della tipologia di doglianza) solo in caso di fenomeni patologici, come nel caso della revoca dell'amministratore nei cui confronti viene notificato il decreto.

Tale legittimazione processuale sussisterà ogni qual volta il singolo condomino debitore ritenesse di dover far valere le sue ragioni, anche indipendentemente dalla volontà della maggioranza, rischiando personalmente una escussione pro quota. Quanto al titolo giudiziale, esso potrà essere formato nei confronti del condominio o anche nei confronti dei singoli condòmini, ove questi fossero individuabili già nella fonte dell'obbligazione di natura pattizia (Tribunale Napoli sezione VIII, 1079/2018; contra Tribunale di Salerno 678/2015 secondo la quale anche in assenza di una apposita clausola contrattuale che individui i singoli obbligati deve essere riconosciuta al terzo la possibilità di agire direttamente nei confronti del singolo condomino).

Non deve perciò trarre in inganno la dicitura “escussione” utilizzata nell'articolo 63 disposizioni attuative, la quale non obbliga il creditore alla formazione del titolo nei confronti del condominio, bensì lo obbliga ad agire nei confronti dei morosi fino in fondo, ovvero fino alla fisiologica incapienza degli stessi prima di poter “agire” nei confronti dei condòmini in regola con i pagamenti.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©