Fisco

Dai bonus edilizi 45 miliardi di debito oltre le previsioni

Agevolazioni. Sotto la lente l'impatto dei bonus edilizi sui conti pubblici

di G. Tr.

Bonus facciate e Superbonus sono costati fin qui 105 miliardi, cioè 45,2 in più rispetto alle previsioni. A questo buco, curiosamente pari al 110% del peso finanziario stimato all’inizio, le facciate hanno contribuito per 13,1 miliardi (19 contro 5,9, con una differenza del 222% sulle stime iniziali), ma in termini assoluti il protagonista indiscutibile è il Superbonus dove la spesa extra è “solo” del 91,7% ma vale 32,1 miliardi (dai 35 calcolati all’inizio ai 67,1 registrati ora). Il lungo dibattito contabile che ha portato Eurostat e Istat a chiedere di passare dal calcolo per competenza finanziaria a quello per cassa ha riguardato solo il deficit, che infatti è drasticamente peggiorato negli anni scorsi e può migliorare quindi nei prossimi. Ma non ha sfiorato il debito: che continua a essere guidato dalla cassa, e deve scontare questi 45,2 miliardi aggiuntivi in larga parte concentrati sul 2023-2026. Cioè proprio mentre torna il Patto di stabilità Ue che, soprattutto nella sua versione riformata al centro delle trattative a Bruxelles, si (pre)occupa del debito più che del deficit.

Numeri, effetti e prospettive dei bonus edilizi sul bilancio pubblico sono stati tracciati ieri dal ministero dell’Economia che nell’audizione sui crediti d’imposta alla commissione Bilancio della Camera ha schierato tutta la prima linea tecnica. A illustrare i conteggi aggiornati sono intervenuti il direttore generale delle Finanze Giovanni Spalletta, il dg del Tesoro Riccardo Barbieri e il Ragioniere generale dello Stato Biagio Mazzotta.

È stato Barbieri a trarre la morale della favola nei termini più sintetici: «Il costo delle misure eccede di gran lunga il beneficio» misurato dalle maggiori entrate, ha detto, e in termini di risparmio energetico si stima una riduzione dei consumi domestici nell’ordine del 3,5% che «rappresenta un passo in avanti ma non ci porta nemmeno lontanamente agli obiettivi» ambientali fissati dai programmi comunitari. Ergo: dal momento che l’emergenza ambientale resta in cima all’agenda ma con i meccanismi attuali la spesa è largamente superiore all’impresa, la revisione complessiva dei bonus edilizi annunciata anche dal ministro dell’Economia Giorgetti dovrà poggiare su stime molto più efficaci nel calcolo preventivo del rapporto costi/benefici, come hanno sottolineato in modo unanime i tre vertici del Mef.

La sfida non pare pienamente compresa dal dibattito politico, ma è cruciale e tutt’altro che semplice. Perché le stime si fanno con i modelli previsionali, e quelli oggi a disposizione sul punto zoppicano parecchio. Lo riconosce lo stesso Barbieri, che prima di salire al vertice del Tesoro è stato per quasi otto anni il capo economista del Mef e quindi di stime macro si è occupato parecchio. Nei modelli di Via XX Settembre il moltiplicatore degli investimenti residenziali si avvicina a uno (un euro di Pil per ogni euro di spesa), ma il ministero assume che il 51% delle spese realizzate con il Superbonus sarebbero state effettuate anche senza, quindi l’impatto effettivo si riduce parecchio. Non solo: «I modelli - sottolinea il Dg del Tesoro - non tengono conto dell’effetto spiazzamento prodotto da un incentivo così alto e non considerano gli investimenti che si sarebbero potuti attivare con incentivi alternativi». Pur con queste premesse, il Mef calcola che il Superbonus abbia alzato il tasso di crescita del Pil reale dell’1,2% nel 2021 (poco più di 1/6 del +6,7% complessivo) e dello 0,7% nel 2022 (quando il totale dell’economia è aumentato del 3,7%), mentre per quest’anno si attende un impatto negativo dello 0,9% (quasi pari all’obiettivo di crescita del +1%).

Nei calcoli della Ragioneria generale illustrati da Mazzotta questo è anche l’anno della caduta drastica delle spese superincentivate, che passerebbero dal 2,6% del Pil nel 2022 (49,6 miliardi) allo 0,7% del prodotto nel 2023 (14 miliardi) per planare a quota 3 decimali (6-6,5 miliardi) nel 2024 e 2025. Il freno è stato ovviamente tirato dal decreto di metà febbraio (il Dl 11/2023) che ha fermato la macchina delle cessioni dei crediti, dopo che questa ha macinato fin qui 65,6 miliardi (proprio i crediti ceduti si trasformano in debito quando vengono utilizzati in compensazione e quindi riducono le entrate imponendo l’emissione di titoli di Stato a copertura). Il nuovo meccanismo potrebbe portare gli sconti fiscali nel vecchio regime della contabilizzazione per cassa. Un’eventuale decisione in questo senso da Eurostat e Istat, attesa entro il 30 giugno, migliorerebbe il deficit di quest’anno e dei prossimi. Con un effetto solo contabile, tornano però ad avvertire i vertici del Mef. Perché il debito continuerebbe a viaggiare per la propria strada. E all’Europa, e soprattutto ai mercati, interessa il debito.

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