Il condominio costruito sugli argini di un fiume ostacola lo sfruttamento delle acque
L’inedificabilità è assoluta anche se la concessione edilizia è stata rilasciata molti anni addietro
Il principio di diritto affermato dalla Cassazione ( sentenza Sezioni unite 7644/2020 ) è che i condomini italiani costruiti nelle aree di rispetto dagli argini dei fiumi non ne possono attingere l'acqua. La Corte ha rigettato il ricorso di un condominio contro una sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche che aveva respinto la sua domanda di annullamento di una richiesta di autorizzazione idraulica in sanatoria.
I motivi del ricorso
Il condominio sosteneva di avere maturato un legittimo affidamento al rilascio della sanatoria poiché era titolare di una licenza edilizia risalente al 1967 ed affermava che non era stato costruito in prossimità di una notevole presenza d'acqua fluente e di non costituire un intralcio al suo libero deflusso.
La decisione
Il Tribunale rigettava il ricorso richiamando l'articolo 96 del Regio decreto numero 523/1904 che contiene la norma assoluta ed inderogabile del divieto di costruzione nella fascia di dieci metri dagli argini dei corsi d'acqua. Pertanto il Tribunale affermava che questa situazione non era sanabile in quanto riteneva irrilevante il tempo trascorso, sosteneva la prevalenza della normativa statale sulle prescrizioni dei piani regolatori ed affermava l'illegittimità dei pareri favorevoli precedentemente espressi .
La conferma della Cassazione
La Cassazione (relatore Antonio Scarpa) condivideva l'affermazione del Tribunale per cui il divieto di edificazione entro la fascia di servitù idraulica è assoluto ed inderogabile , senza che possa avere rilievo il tempo trascorso dall'abuso o la quantità d'acqua del fiume. La giurisprudenza di legittimità afferma che i divieti di edificazione nell'alveo dei fiumi (articolo 96 del Regio decreto 523/1094) assolvono la ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali , di assicurare il deflusso delle acque correnti nei fiumi, nei torrenti, nei canali e negli scolatoi pubblici.
Le ragioni della Corte
Il divieto viene meno solo quando non esista una massa di acqua pubblica che possa essere utilizzata per questi fini e non sia verosimile la sua ricostituzione a causa di eventi naturali. La Corte non accoglie l'assunto del condominio per cui nel torrente non vi fosse una massa d'acqua , poiché non risulta che l’alveo fosse asciutto quando fu costruito l'immobile , nè che la massa di acqua non possa ritornare a seguito di un evento naturale, quale un'alluvione.
Il Tribunale non ha la giurisdizione sulla legittimità del rifiuto del rilascio della concessione in sanatoria o dei pareri favorevoli durante l'istruttoria del procedimento, perchè riguardanola competenza del giudice amministrativo. Inoltre non è necessaria una consulenza tecnica di ufficio in quanto ricorrono i dati oggettivi della perdurante invasione della fascia di rispetto e dell'inedificabilità assoluta per prevenire il regime idraulico .
La condanna
La Cassazione , nel rigettare il ricorso, ha condannato il condominio al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di giudizio ed al pagamento di un ulteriore importo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale. La sentenza è assai importante poiché è finalizzata a garantire le norme di sicurezza del territorio dal pericolo di alluvioni, e alla promozione della cultura giuridica di prevenzione dei disastri ambientali.