Il condominio risarcisce il singolo proprietario per il malfunzionamento del riscaldamento centralizzato
Configurabile la responsabilità da omessa custodia dell'ente per non aver garantito il corretto funzionamento dell'impianto
Il condominio deve essere condannato a risarcire in forma specifica e per equivalente il singolo proprietario esclusivo per il cattivo funzionamento dell'impianto di riscaldamento centralizzato all'interno del suo appartamento non adeguatamente servito, laddove sia inequivocabilmente accertato il nesso causale tra l'omessa manutenzione e il danno subito e non sia stata fornita la prova liberatoria integrata dal caso fortuito, consistente in una condizione eccezionale e imprevedibile che ha impedito al custode di effettuare la necessaria manutenzione.
Con questi principi di diritto, formulati nella sentenza numero 1271 del 23 marzo 2023, il Tribunale di Torino ha accolto la domanda proposta dall'istante che, lamentando l'insufficiente riscaldamento degli ambienti all'interno dell'appartamento di sua proprietà per effetto dell'omessa manutenzione dell'impianto centralizzato condominiale, ha convenuto in giudizio l'ente di gestione, chiedendone l'accertamento della responsabilità da omessa custodia, ai sensi dell'articolo 2051 del Codice civile, e la conseguente condanna al risarcimento dei danni ed all'effettuazione degli interventi necessari al ripristino della completa funzionalità.
I fatti di causa
L'attore, che già in via bonaria aveva più volte richiesto il ripristino dell'impianto di riscaldamento centralizzato, perdurando l'inerzia del condominio, si era munito di una consulenza tecnica di parte (poi posta a fondamento dell'azione giudiziaria successiva), dalla quale era emerso come le cause del cattivo funzionamento dell’impianto in oggetto (in relazione alla porzione insistente sotto l’alloggio di proprietà dell’attore) fossero riconducibili, tra l'altro, proprio alla mancata irradiazione di calore dalle serpentine a pavimento, determinata, a sua volta, dall'accumularsi, negli anni, di detriti e fanghi nelle valvole di regolazione e di arresto, con problemi maggiormente rilevanti per i piani più bassi, come quello di proprietà della parte attrice.
Il convenuto, nel costituirsi in giudizio, ha contestato la propria responsabilità ed ha eccepito che, in ogni caso, l'attore non avrebbe avuto titolo a promuovere alcuna azione risarcitoria, posto che egli stesso, con il proprio voto conforme a quello della maggioranza assembleare validamente pronunciatasi, aveva concorso all'assunzione della delibera con la quale si era deciso di non procedere ad alcuni essenziali interventi di coibentazione, tra i quali l'isolamento termico delle cantine sottostanti, che ne avrebbero potuto limitare il disagio.
La posizione del Tribunale
Il giudicante, in accoglimento integrale della domanda, ha preliminarmente osservato come, per pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità, il singolo condòmino possa certamente agire, a norma dell’articolo 2051 del Codice civile, nei confronti del condominio per il risarcimento dei danni sofferti per il cattivo funzionamento di un impianto comune, assumendo la posizione di terzo nei confronti dell'ente di gestione, tenuto per legge alla custodia ed alla corretta manutenzione delle parti e degli impianti comuni dell'edificio (Cassazione sezione lavoro 1500/ 1987).
Nel caso di specie, essendo incontestata la corretta instaurazione del contraddittorio da parte del soggetto attivamente legittimato nei confronti dell'obbligato, il giudice piemontese ha evidenziato, altresì, come sia stato compiutamente assolto l'onere probatorio gravante sull'attore, il quale, mediante la perizia di parte versata in atti, ha dimostrato la sussistenza, nell'ipotesi invocata di responsabilità oggettiva da cose in custodia, del nesso causale tra il malfunzionamento dell’impianto centralizzato di riscaldamento e il danno patrimoniale subito, e consistente nel costo sostenuto e documentato dell'elaborato tecnico, allegato al proprio fascicolo processuale.
Tale assunto è stato, decisivamente, confermato nel corso del giudizio dalle risultanze dell'espletata Consulenza tecnica d'ufficio, che ha, inoltre, evidenziato come, a causa dell'omessa manutenzione dell'impianto da parte del custode, non sia stato possibile neanche contenerne il normale degrado, determinato dall'usura.
La mancanza della prova liberatoria
A fronte dei puntuali riscontri istruttori che hanno consentito al Tribunale di ritenere accertato il danno, il condominio, rimasto inerte anche dal punto di vista processuale, non ha, invece, fornito la necessaria prova liberatoria, al fine di escludere la condotta colposa del custode, consistente nel caso fortuito.Il convenuto non è stato in grado di provare la riconducibilità dell'occorso ad un elemento del tutto accidentale, non prevedibile ed estraneo alla propria sfera soggettiva, che abbia cagionato, in maniera determinante, l'evento dannoso lamentato (e provato) dall'attore (Cassazione sentenza 35492/22).
Ne consegue, inevitabilmente, la condanna del condominio convenuto al risarcimento dei danni patrimoniali subiti dal singolo proprietario, coincidenti con il costo sostenuto da quest'ultimo per la consulenza tecnica di parte, ed all'esecuzione delle opere analiticamente indicate nella Consulenza tecnica d'ufficio come necessarie alla definitiva risoluzione del problema; del tutto conseguenziale, poi, l'applicazione del principio di soccombenza e la condanna dell'ente di gestione anche al pagamento delle spese di lite.
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