Il diritto di escludere gli altri dall’utilizzo del bene comune è presupposto necessario dell’usucapione
Gli atti compiuti dal condomino che ritiene di aver usucapito il bene devono essere obiettivamente inconciliabili, in modo univoco, con la fruizione del bene da parte degli altri
Con la sentenza 20144 del 22 giugno 2022, la Cassazione, pronunciandosi in materia condominiale, ha affrontato il tema dello ius excludendi alios, la facoltà del proprietario di opporsi a ogni ingerenza degli estranei relativamente al bene oggetto del proprio diritto, quale che ne sia la giustificazione (articolo 832 Codice civile) delineando quelle che sono le condizioni necessarie affinché tale condotta, se protratta nel tempo necessario, possa permettere di usucapire un determinato bene o parte di esso.
Difatti, non è raro che in un edificio condominiale alcune parti comuni vengano utilizzate soltanto da alcuni condòmini, comportamento questo favorito, ad esempio, dal totale disinteresse degli altri proprietari. Si pensi, per esempio, al condomino che utilizza da diversi anni il cavedio come deposito di cose di sua proprietà, non consentendo in tal modo a tutti gli altri l'ingresso alla predetta area comune del condominio.
I fatti di causa
Nella vicenda in esame, la Corte d'appello, nel confermare la sentenza del giudice di prime cure, respingeva le domande di Tizia, proprietaria di un appartamento del condominio Alfa, e di Sempronio e Caia, comproprietari di un'altra unità immobiliare facente parte del medesimo condominio, avanzate nei confronti degli altri condòmini, al fine di sentire dichiarare l’acquisto per usucapione di due porzioni dell’area esterna di pertinenza del fabbricato condominiale, individuate in atti come lotto 5 (oggetto della domanda di Tizia) e come lotto 2, (oggetto della domanda di Sempronio e Caia).
Secondo il giudice del gravame, gli attori non avevano dimostrato di avere esercitato il possesso necessario all’usucapione; in particolare, la Corte territoriale specificava che gli stessi, nonostante avessero dato prova di avere goduto dei lotti in via esclusiva, non avevano tuttavia dimostrato di avere esercitato sui lotti in questione uno ius excludendi, un diritto di escludere l’utilizzo da parte degli altri, che permettesse di qualificare il loro godimento come esercizio di un possesso esclusivo.
Le prove del possesso prodotte in giudizio
Davanti al Tribunale Supremo Tizia, Sempronio e Caia lamentavano, in particolare, la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1158, 1140 e 1144 Codice civile, nonché la violazione dell’articolo 132 Codice procedura civile e degli articoli 112 e 339 Codice procedura civile.Secondo i ricorrenti, i giudici di secondo grado non avevano valutato in maniera corretta la documentazione prodotta, (stato dei luoghi, risultanze testimoniali e materiale fotografico), dimostrante il loro possesso sui lotti oggetto delle rispettive domande e la durata, risalente all’inizio degli anni ottanta, di tale possesso.
I giudici di piazza Cavour ribadivano consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’usucapione del bene comune da parte di uno dei comproprietari postula che il medesimo «goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare in modo univoco la volontà di possedere come proprietario, senza che possa considerarsi sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall’uso della cosa comune» (così Cassazione 24781/17)».
Conclusioni
Pertanto, gli atti compiuti dal condomino che adduce di aver usucapito il bene comune devono essere “obiettivamente inconciliabili”, in modo “univoco”, con la fruizione del bene da parte degli altri partecipanti al condominio.Poiché il caso in disamina riguardava un terreno suddiviso in cinque porzioni delimitate solo da alcune strisce e, dunque, prive di una recinzione che potesse impedire a tutti gli altri proprietari di accedere e di fruire dell'area in questione, non poteva delinearsi lo ius excludendi, ovvero il godimento come esercizio di un possesso esclusivo del bene da parte dei ricorrenti.Pertanto, la Suprema corte rigettava il ricorso e condannava i ricorrenti a rifondere ai controricorrenti le spese di giudizio.