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Il gestore del locale pubblico deve impedire il rumore molesto degli avventori

La qualità di gestore dell'esercizio pubblico comporta l'assunzione dell'obbligo giuridico di controllare

di Giulio Benedetti

La gestione dei pubblici locali deve convivere con le aspettative di tranquillità dei condòmini degli edifici in cui sono inseriti. La professione dell'esercente di tali locali deve attenersi anche a principi psicologici per sensibilizzare gli avventori che il loro divertimento trova il limite delle esigenze di vita dei vicini, i quali non sono disposti a tollerare la movida selvaggia e per informarli che tali disturbi rappresentano problemi anche di ordine pubblico. Il tema della rumorosità, soprattutto notturna, dei pubblici esercizi riguarda anche il dibattito dei cittadini sulla vivibilità dei quartieri, la quale attiene anche al valore economico degli immobili, i quali sono deprezzati dal “far west” acustico. La giurisprudenza tratta la problematica in modo da travalicare la tutela tradizionale del divieto di immissioni intollerabili, prevista dall'articolo 844 Codice civile, per affermare che il diritto alla salute è tutelato penalmente dall'articolo 659Codice penale.

Il caso trattato

Il Tribunale condannava, per il reato di cui agli articoli 81 e 659 Codice penale, l'esercente di un pubblico esercizio, che somministrava alimenti e bevande, in ore notturne, anche oltre l'orario di chiusura, e disturbava, per tre anni, il riposo di un'abitante in un appartamento vicino allo stesso. Il soggetto ricorreva in Cassazione lamentando l'ingiustizia della sentenza, perché il reato non sussisteva, in quanto non danneggiava un numero indeterminato di persone, bensì una sola persona. Inoltre, il condannato lamentava che il Tribunale l'aveva condannato per un fatto diverso dall'imputazione, in quanto la condanna è intervenuta per l'organizzazione di eventi musicali con l'utilizzo di apparecchiature e per non avere impedito gli schiamazzi degli avventori del locale nelle sue vicinanze. Per il ricorrente la sentenza era ingiusta, perché al titolare di un locale non può essere imposta un obbligo di controllo degli spazi esterni al locale.

I principi della Cassazione

Il giudice di legittimità (sentenza 33096/2022) rigettava il ricorso e condannava il ricorrente a pagare le spese del giudizio a favore della parte civile e stabiliva i seguenti principi:
- non vi è violazione dell'articolo 521 Codice procedura penale se la contestazione è conosciuta dall'imputato, purché lo stesso sia stato messo in condizione di conoscere l'accusa e di esercitare la propria difesa (sentenza 6560/2020);
- la sentenza impugnata è ben motivata, poiché il Tribunale ha evidenziato la natura dei rumori idonea a disturbare un numero indeterminato di persone. I soggetti che hanno escluso la rumorosità del locale hanno riferito episodi diversi da quello in cui si sarebbero verificate le immissioni, o per orario diverso o in giornate in cui non si svolgevano gli eventi musicali;
- la sentenza ha ritenuto il ricorrente responsabile per gli schiamazzi degli avventori fuori del locale, perché della contravvenzione risponde il titolare dell'esercizio commerciale che non impedisce i rumori;
- il titolare di un'attività risponde penalmente per non avere impedito gli schiamazzi (sentenza 14750/2020), poiché la qualità di gestore dell'esercizio pubblico comporta l'assunzione dell'obbligo giuridico di controllare, con il possibile ricorso ai vari mezzi offerti dall'ordinamento, come l'attuazione del diritto di esclusione e il ricorso all'autorità di pubblica sicurezza che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell'ordine e della tranquillità pubblica;
- risponde del reato di disturbo alle occupazioni e al riposo delle persone il gestore di una pizzeria che non impedisca i continui schiamazzi provocati dagli avventori in sosta davanti al locale nelle ore notturne (sentenza 48122/2008);
- il ricorrente per chiedere l'applicazione della causa di esclusione della punibilità per tenuità del fatto, ex articolo 131 bis Codice penale, deve farne specifica richiesta al Tribunale e non può limitarsi a chiedere l'assoluzione con formula piena o perché il fatto non costituisce reato.