Illecita la realizzazione di abitazioni nelle cantine condominiali se si interviene su parti comuni
Rientra tra i poteri dell’assemblea intervenire quando per trasformare la cantina si effettuano modifiche al decoro dello stabile
Una condomina agiva in giudizio impugnando una delibera del proprio stabile che, a detta della stessa, sarebbe stata nulla in quanto avrebbe travalicato il limite del potere dispositivo assembleare. La questione afferiva la conversione, da parte della stessa condomina, delle proprie cantine site nel pianto interrato del palazzo in abitazioni per il proprio personale di aiuto domestico. La trasformazione suddetta aveva comportato, oltre che opere interne ai locali, l'apertura di prese d'aria sui muri condominiali e l'allacciamento agli impianti elettrico e idrico dello stabile.
La vicenda e le pronunce di merito
A questa trasformazione il condominio aveva risposto con delibera nella quale aveva contestato alla condomina l'utilizzo errato delle parti comuni, la violazione del decoro e della sicurezza dello stabile e in generale l'impossibilità concreta di adibire le cantine ad immobili ad uso abitativo.A detta della condomina, però, tale delibera sarebbe stata presa in eccesso di potere, non potendo l'assemblea decidere sul destino di parti private.A seguito del primo grado di giudizio, il Tribunale competente rigettava l'impugnazione proposta.Similmente faceva la Corte d'appello, a seguito dell'impugnazione della sentenza ad opera della stessa condomina.
La vicenda approdava quindi in Cassazione, a seguito del ricorso dell'erede della condomina, nel frattempo subentrato nei diritti domenicali di quest'ultima.All'esito del processo la seconda sezione della Suprema corte pronunciava la sentenza numero 12056 del 13 aprile 2022, con la quale rigettava recisamente la prospettazione dell'erede della condomina.Il ricorso, in modo conforme alle precedenti lamentele in sede di giudizi di merito, si opponeva alla possibilità dell'assemblea condominiale di contestare la trasformazione delle cantine in appartamenti.Secondo la prospettazione del ricorrente, infatti, le opere non riguardavano gli altri condòmini o lo stabile e le eventuali violazioni avrebbero dovuto essere contestate solo dalla pubblica amministrazione in sede amministrativa.
I poteri assembleari nella gestione della proprietà esclusiva
La vicenda, quindi, risultava interessante dal punto di vista del potere decisionale dell'assemblea condominiale e dei limiti dello stesso.Con la sentenza in commento, in modo pregevole, la Cassazione rigettava il ricorso dell'erede e la sua linea di pensiero.Secondo gli ermellini, infatti, pur essendo corretto il principio espresso in merito all'impossibilità per l'assemblea di decidere su parti private, il caso in questione appariva del tutto differente.Nel caso in oggetto, difatti, la delibera assembleare non aveva contenuto precettivo e non vietava alcuna condotta nelle cantine private.
La decisione del condominio, infatti, afferiva solamente il divieto di utilizzo delle parti comuni in modo non conforme, come l'apertura di prese d'aria sui muri delle cantine e l'allacciamento agli impianti condominiali, e non le opere realizzate all'interno dei locali.La delibera, quindi, contestava la violazione del decoro architettonico e rilevava sia l'aggravio all'uso dei servizi comuni, sia la compromissione della sicurezza dello stabile.A parere della Cassazione, quindi, tale delibera era del tutto valida, essendo correttamente l'oggetto della stessa non le parti private, ma parti e servizi comuni ed essendo la stessa volta a invocare il rispetto del decoro e della sicurezza dello stabile e dei suoi abitanti.Alla luce di tale ragionamento, quindi, la Corte rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al rimborso delle spese di lite.
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di Luca Savi - coordinatore scientifico Unai Bergamo