Condominio

Impresa e direttore lavori rispondono dei danni se hanno concorso nell’evento

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di Valeria Sibilio

In tema di contratto di appalto, se il danno subito dal committente è una conseguenza degli inadempimenti dell'appaltatore e del direttore dei lavori, questi ultimi rispondono dei danni, essendo sufficiente che le azioni e le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l'evento. Lo ha chiarito la Cassazione con l'ordinanza 29338 del 2018 nella quale i giudici hanno esaminato un caso originato dall'ingiunzione del Tribunale di Prato, nei confronti di un condominio, finalizzata al pagamento di 54.342.000, oltre IVA e interessi legali al titolare di una impresaedile, a saldo dei lavori eseguiti nell'edificio condominiale e negli appartamenti di singoli condòmini.
Il condominio proponeva opposizione, notificando l'atto di citazione anche al geometra, direttore dei lavori, negando la sussistenza della prova scritta richiesta dall'art. 634 c.p.c. e contestando la pretesa creditoria, osservando che i lavori di ristrutturazione delle facciate dell'edificio non erano stati eseguiti secondo gli impegni, che prevedendo la demolizione del rivestimento e dell'intonaco sino a raggiungere la nuda muratura, portando alla discarica i materiali di risulta, ottenendo un risultato finale del tutto insoddisfacente. Nel contratto di appalto era inoltre previsto il rifacimento del lastrico solare, ma nei locali sottostanti si erano manifestate infiltrazioni di acqua.
Al direttore dei lavori l'opponente addebitava il mancato controllo nell'esecuzione dell'opera secondo gli impegni e le regole dell'arte. In via riconvenzionale, il condominio chiedeva la condanna dell'impresa e del direttore dei lavori al risarcimento dei danni cagionati dal rispettivo inadempimento, eccependo, inoltre, che non gli potevano essere addebitati costi per interventi nelle singole proprietà, non previste nel capitolato e ordinate da singoli condòmini. Il titolare della società, costituendosi, affermando che la modifica del programma d'intervento si era resa necessaria per le condizioni pregresse del manufatto, proponeva domanda riconvenzionale per ottenere la condanna del condominio al pagamento di euro 200.000.000, pari al mancato pagamento delle somme di cui al decreto, alla revisione dei prezzi, allo scoperto di conto corrente, al mancato pagamento degli oneri di costruzione del cantiere e alla costituzione di una fideiussione assicurativa, eccependo, inoltre, la tardività della denuncia di vizi e chiedendo la concessione della provvisoria esecuzione del decreto.
Il Tribunale di Prato emetteva, contro il condominio, un secondo decreto ingiuntivo, su ricorso del direttore dei lavori, per l'importo di euro 5.263.200, oltre interessi e spese, a saldo delle prestazioni professionali connesse ai lavori, dedotto l'acconto ricevuto di euro 3.500.000. Contro questa seconda ingiunzione, il condominio proponeva opposizione, riproponendo i precedenti motivi di merito, concludendo per la condanna dell'opposto al risarcimento dei danni da inadempimento, previa eventuale compensazione col credito professionale vantato. Costituendosi in giudizio, il direttore dei lavori sosteneva che demolire il klinker e il riportare a nudo le pareti avrebbe comportato la rottura della struttura muraria sottostante. Da qui, la decisione di eseguire un intervento alternativo egualmente efficace e con applicazione di uno sconto sul prezzo originariamente concordato.
Il Tribunale di Prato respingeva le opposizioni contro entrambi i decreti ingiuntivi, confermandoli integralmente, dichiarando inammissibili le domande riconvenzionali del titolare della società e compensando integralmente le spese di lite tra le parti, ponendo le spese della perizia a carico del condominio. Quest'ultimo interponeva appello, dolendosi che non vi era la prova scritta necessaria per l'emissione dei decreti ingiuntivi e di non aver approvato la variazione del contratto di appalto. L'opera sostitutiva era risultata, comunque, difettosa ed in presenza di lesioni che compromettevano l'aspetto estetico e la durata futura delle facciate. Se anche le variazioni fossero state ritenute necessarie, il prezzo preteso per l'intervento sostitutivo era incongruo. I vizi all'impermeabilizzazione del lastrico solare erano andati progressivamente peggiorando, tanto che la perizia espletata aveva riscontrato un ristagno d'acqua e diffuse macchie di umidità nei soffitti degli appartamenti sottostanti. Trattandosi di vizi costruttivi, non era configurabile alcuna decadenza nella denuncia.
La Corte di Secondo Grado accoglieva l'appello e condannava il Condominio al pagamento di euro 2.835,73 a favore del titolare della società, il direttore dei lavori al pagamento, in favore del primo, di euro 10.198,01. Titolare e geometra, inoltre, erano tenuti a restituire, al Condominio, tutte le somme incassate in ragione dei decreti ingiuntivi.
La Corte distrettuale aveva ritenuto che il Condominio fosse decaduto dalla garanzia per non aver denunciato i vizi entro sessanta giorni previsti dalla legge. Quanto ai vizi della facciata e alla impermeabilizzazione del lastrico solare, mancavano elementi certi per ritenere decaduta l'azione di garanzia verso l'appaltatore ed il direttore dei lavori, dovendo tener conto che aveva avuto piena consapevolezza dei difetti a seguito di un accertamento tecnico.
Titolare e direttore dei lavori chiedevano la cassazione della sentenza, affidandosi a quattro motivi di ricorso.
Con il primo motivo, sostenevano che la Corte distrettuale avrebbe sollevato l'eccezione relativa ai vizi della facciata nella realizzazione modificata, non tenendo conto che il condominio aveva lamentato un inadempimento parziale del contratto di appalto, in particolare, la difformità dell'esecuzione del rifacimento della facciata dell'edificio rispetto al capitolato, nonché i vizi di impermeabilizzazione del lastrico solare. Inoltre, non avrebbe specificato se la piena conoscenza dei vizi fosse stata raggiunta o meno all'esito della perizia svolta. Motivo infondato in quanto l'aver ritenuto che la domanda del Condominio fosse riferita anche ai vizi della facciata nella realizzazione modificata, rappresenterebbe il risultato di una interpretazione e della qualificazione della domanda giudiziale, attività istituzionalmente affidata al Giudice del merito e non suscettibile di sindacato di legittimità.
Con il secondo motivo, i ricorrenti sostenevano che la Corte distrettuale avrebbe addebitato i vizi della facciata, nella realizzazione modificata, ad entrambi i ricorrenti, ma in misura diversa: a carico del geometra nella misura del 2/3 dell'intero e a carico del titolare per l'intero, così come stimato dalla perizia, che comprende anche i danni della difformità della facciata. Un motivo, per la Suprema Corte, fondato, in quanto, in tema di contratto di appalto, qualora il danno subito dal committente sia conseguenza dei concorrenti inadempimenti dell'appaltatore e del direttore dei lavori, entrambi rispondono solidalmente dei danni, essendo sufficiente, per la sussistenza della solidarietà, che le azioni e le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l'evento, a nulla rilevando che le stesse costituiscano autonomi e distinti fatti illeciti, o violazioni di norme giuridiche diverse. Nel caso in esame, la Corte distrettuale non aveva osservato questi principi, ritenendo, senza indicarne le ragioni, che la valutazione dei danni indistintamente operata dal CTU, potesse essere imputata al Direttore dei Lavori in via di equità per 2/3 ai difetti e per 1/3 al minor valore della difforme intonacatura delle facciate e per l'intero con riferimento al danno cagionato dai lavori inadeguati sul lastrico solare.
Insufficiente, inoltre, la ragione secondo cui la responsabilità del direttore dei lavori dovesse essere limitata all'omessa vigilanza sull'esecuzione a regola d'arte dei lavori in quanto questa, al pari della scorretta esecuzione dei lavori, ha concorso a produrre il danno al committente, creando un vincolo di solidarietà tra gli autori del danno.
Il terzo motivo secondo cui il Giudice di appello avrebbe compensato i vari crediti richiesti tra titolare, Condominio e direttore dei lavori, è rimasto assorbito dall'accoglimento del secondo.
Con il quarto motivo, secondo i ricorrenti, la documentazione esibita dal condominio non aveva natura di atto pubblico e, pertanto, priva di efficacia legale. Motivo apparso infondato, in quanto la produzione documentale era stata effettuata correttamente e posta all'attenzione della parte avversa senza che quest'ultima l'avesse contradetta o avesse dimostrato o la falsità della documentazione o l'inesistenza dei fatti. La Corte ha ritenuto che questa produzione documentale fosse legittima, anche se prodotta tardivamente.
La Cassazione ha, perciò, accolto il secondo motivo del ricorso, dichiarando assorbito il terzo e rigettato gli altri, cassando la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinviando la causa ad un'altra sezione della Corte di Appello.

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