Condominio

L’amministratore non è sempre lo «scudo penale» dei condòmini

di Rosario Dolce

Accade spesso che, nonostante la necessità di lavori urgenti in costruzioni che minacciano rovina negli edifici condominiali (come i solai dei garage), non si formi la volontà assembleare e non vengano stanziati i fondi necessari. Ma non può ipotizzarsi la responsabilità per il reato di cui all’articolo 677 del Codice penale a carico dell’amministratore del condominio per non aver attuato interventi che non erano in suo materiale potere.

Al contrario: ricade su ogni singolo proprietario l’obbligo giuridico di rimuovere la situazione pericolosa. Così ha chiarito la Corte di Cassazione, Sezione I Penale, con la Sentenza n 50366/2019 .

Il fatto

Un proprietario di un appartamento di un fabbricato condominiale fatiscente riceve un’ordinanza del sindaco, contingibile e urgente, per eseguire i lavori di messa in sicurezza e rimozione del pericolo di crollo.

Il condomino, però, si difende dal provvedimento di condanna poi conseguito (per aver omesso l’esecuzione delle opere dovute) indicando l’amministratore quale responsabile dell’evento, in funzione della sua posizione di garanzia, di cui all’articolo 40 del Codice Penale.

Lo scudo penale

In altri termini, il proprietario assume che la presenza dell’amministratore condominiale funga da “scudo penale”, in quanto soggetto attivo del reato al posto dei proprietari, i quali, al più, potrebbero essere chiamati a rispondere a titolo di responsabilità sussidiaria.

La Corte di Cassazione, però, respinge la tesi difensiva.

I presupposti

La Cassazione ha affermato anzitutto che il provvedimento sindacale era destinato soggettivamente ai proprietari degli immobili ubicati nel fabbricato e non all’amministratore.

Inoltre ha rilevato come tra le attribuzioni dell’amministratore non vi sia quello di provvedere alla manutenzione straordinaria del fabbricato, potendo, al più, disporre in termini di messa in sicurezza del medesimo, laddove sussistano i fondi per disporre al riguardo.

La Corte ha anche chiarito che, nel caso previsto dal terzo comma dell’articolo 677 del Codice penale, è sufficiente per l’amministratore, per andare esente da responsabilità, intervenire sugli effetti della rovina, interdicendo, ove ciò sia possibile, l’accesso o il transito delle persone (sul punto è stata anche richiamata la sentenza 21401/2009).

«Molestia possessoria»

Ma non basta: secondo un’altra corrente giurisprudenziale (di rilievo “civile”), tuttavia, l’amministratore non può neppure interdire l’uso delle cose comuni, adducendo ragioni connesse alla sicurezza dei condomini o dei terzi, potendo una simile condotta finire per ledere il contenuto del diritto che su di esse compete a ciascun partecipante: integrandosi, per contro, una molestia possessoria (Cassazione, sentenza 6 febbraio 1982, n. 686).

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