L’uso più frequente di un bene condominiale non basta a comprovarne l’esclusiva proprietà
Bisogna risalire, per chiarirne la natura, all’atto della prima vendita e verificare se il bene fosse indicato come condominiale o meno
Se con la prima vendita, la proprietà di un bene potenzialmente rientrante nell'ambito di quelli comuni è attribuita al condominio, deve escludersi che un singolo abbia potuto acquisirne con atto successivo l'esclusività dall'originario unico titolare. Ciò, anche nell'ipotesi in cui il bene sia goduto e usato più proficuamente e frequentemente da un condomino rispetto agli altri. Lo scrive la Corte di appello di Catanzaro con sentenza numero 2 del 4 gennaio 2023.
I fatti di causa
Ad attivarsi è un condominio, citando i primi due proprietari di un appartamento e il secondo proprietario dell'alloggio posto sullo stesso piano. La richiesta è di sentirli condannare al rilascio dei locali sottotetto condominiali, oltre che al ristoro del danno da occupazione senza titolo. I proprietari chiedono il rigetto della domanda di rivendica e, in riconvenzionale, l'accertamento dell'intervenuto acquisto per usucapione ma il Tribunale, dichiarata la proprietà condominiale dei sottotetti, ne ordina il rilascio alla disponibilità di tutti asserendo che la natura comune risultava sia dagli atti di assegnazione delle singole unità che dal regolamento. Respinta anche la pretesa di usucapione, la controversia approda in appello e la Corte lo boccia.
Circa il primo motivo sull'errata qualificazione del bene come condominiale e non pertinenza esclusiva degli appartamenti, il Collegio ricorda che l'articolo 1117 del Codice civile considera comuni le aree destinate a parcheggio, i locali adibiti a servizi condominiali (portineria, lavanderia, stenditoi) e i sottotetti destinati, per caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune. Tale norma, poi, chiarisce che la presunzione di condominialità è superabile solamente in presenza di un titolo contrario che attesti la natura esclusiva.
Quando il bene può dirsi non condominiale
Peraltro, la giurisprudenza di legittimità afferma che l'individuazione delle parti comuni delineata dalla legge – e operante relativamente a cose che, per connotati strutturali, non siano destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità – può superarsi solo col primo atto di trasferimento dell'unità dell'originario proprietario ad altri e conseguente frazionamento. In sintesi, se in occasione della prima vendita la proprietà di un bene potenzialmente comuni è attribuita al condominio, deve escludersi che un singolo abbia potuto acquisirne con atto successivo l'esclusiva dall'originario unico proprietario, anche qualora il bene, per conformazione, sia goduto ed usato più proficuamente e frequentemente da questi.
Sul versante probatorio, poi, al condominio non si esige il rigore richiesto per l'azione di rivendica, potendosi limitare a dimostrare l'attitudine del bene a servizio collettivo. Semmai, spetterà a chi reclami un diritto esclusivo, fornirne la prova. Del resto, la presunzione di comune appartenenza del bene non è vincibile con qualsiasi titolo contrario, ma solo con un titolo che espressamente ne attribuisca l'esclusività a uno o più condòmini. Ebbene, nella vicenda, non solo gli appellanti non avevano prodotto titolo contrario ma la natura condominiale del bene emergeva dal regolamento, nonostante l'uso di un'espressione aperta («sono da considerarsi, a titolo indicativo…») cui si ricorre quando non è possibile stilare elenchi esaustivi.
Bene esclusivo solo se un titolo lo comprova
Dovranno, quindi, qualificarsi parti comuni – oltre ai beni richiamati dalla norma – anche quelli che, pur non menzionati, presentino caratteristiche analoghe. Va anche detto, infine, che l'esclusività di un bene cade sia se manchi un titolo contrario e sia se, per caratteristiche strutturali e funzionali, esso risulti destinato concretamente all'uso o esercizio di servizi comuni. Il sottotetto, quindi, potrà dirsi di pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano soltanto se assolva all'esclusiva funzione di isolarlo e proteggerlo dal caldo, dal freddo e dall'umidità, e non abbia dimensioni e forma tali da prestarsi a vano autonomo.
Nella fattispecie, però, il sottotetto – che comunque presentava i connotati di parte comune – lo era anche per godimento visto che, come riferito dai testimoni, vi erano riposti materiale, antenne tv e serbatoi d'acqua. Così, escluso l'acquisto per usucapione avendo gli altri condòmini continuato ad utilizzare quegli spazi in vario modo, la Corte di appello di Catanzaro non poteva che rigettare l'impugnazione.