Condominio

La Corte europea equipara il condomino al consumatore

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di Marina Castellaneta

Nelle controversie tra una società amministratrice di un immobile in condominio e il proprietario di un appartamento, quest’ultimo va considerato come consumatore se utilizza l’immobile esclusivamente per lo svolgimento di un’attività non professionale. Di conseguenza, vanno applicate le norme a tutela della parte debole del contratto stabilite dalla direttiva Ue 93/13 sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. È la Corte di giustizia dell’Unione europea a stabilirlo con la sentenza depositata il 27 ottobre (causa C-485/21).

Sono stati i giudici bulgari a chiamare in aiuto la Corte Ue prima di decidere su una controversia che vedeva contrapposti il proprietario di un appartamento e una società che agiva come amministratrice del condominio.

Era stato stipulato un contratto per la manutenzione delle parti comuni in base al quale la condomina avrebbe dovuto versare un importo che, in caso di ritardo, avrebbe comportato il pagamento di un interesse dello 0,1% per ogni giorno di ritardo.

La donna si era opposta sostenendo che queste clausole erano abusive perché l’indennità di mora risultava eccessivamente elevata.

La Corte di giustizia ha prima di tutto affrontato la questione circa la qualificazione del proprietario di un immobile come consumatore e questo in particolare nei casi in cui alcuni elementi del rapporto contrattuale siano disciplinati obbligatoriamente dalla normativa nazionale.

La direttiva - osservano gli eurogiudici – qualifica come consumatore qualsiasi persona fisica che nei contratti agisce per fini che non rientrano nell’ambito della sua attività professionale. Questa nozione ha carattere oggettivo e deve essere determinata sulla base di un criterio funzionale idoneo ad accertare che il rapporto contrattuale rientri «nell’ambito di attività estranee all’esercizio di una professione».

Pertanto, se il proprietario di un appartamento utilizza lo stabile per fini estranei all’attività professionale è corretto qualificarlo come consumatore, anche nei casi in cui l’appartamento sia in parte utilizzato per un’attività di telelavoro subordinato. Va così applicata la direttiva anche perché l’altro contraente, che svolge l’attività di amministratore del condominio, è una persona giuridica che esercita il suo compito a fini professionali.

Se, però, il proprietario dell’appartamento non può essere qualificato come parte del contratto perché lo è l’assemblea generale dei condòmini, la direttiva non può essere applicata, salvo nei casi in cui il «condominio sia privo di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti».

La Corte Ue ha poi dovuto risolvere la questione relativa all’incidenza di norme imperative stabilite dall’ordinamento interno e applicabili al contratto. La direttiva, infatti, stabilisce che le clausole contrattuali inserite obbligatoriamente nel contratto secondo quanto previsto dalla legislazione interna siano sottratte dall’ambito di applicazione dell’atto Ue.

Nel caso in esame, in effetti, una parte del contratto che riguardava alcune attività di gestione e di manutenzione del condominio derivavano dalle norme interne in materia di sicurezza e di pianificazione territoriale, vincolanti in ogni caso.

Questo porterebbe ad escludere l’applicazione della direttiva 93/13, ma la Corte Ue ha optato per una valutazione differenziata con la conseguenza che l’esclusione di una parte del contratto non comporta che la direttiva non possa essere applicata alle altre disposizioni contrattuali.

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