Non si può chiedere la restituzione di spese di riscaldamento non fruite senza impugnare la delibera
Presupposto della domanda risarcitoria deve essere sempre la ingiustizia del danno
La proprietaria di una unità immobiliare ad uso commerciale ha convenuto in giudizio il condominio per sentirlo condannare al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno, costituito dalle spese versate per il servizio di riscaldamento, nei dieci anni antecedenti la messa in mora, per non averne fruito. Ha chiesto, quindi, la restituzione delle somme, allegando di aver subito un decremento patrimoniale corrispondente all’arricchimento senza causa di tutti gli altri condòmini, che avevano pagato meno un servizio da loro soli goduto. La sentenza 2066/2023 del Tribunale di Milano ha respinto la domanda.
Lo svolgimento del processo
In origine c’era stato un circuito idraulico deputato al collegamento della centrale termica con i pannelli radianti a servizio del negozio e del seminterrato di pertinenza, ma tale circuito era inattivo da anni ed era stato interrotto all’interno della centrale termica condominiale verso i negozi. La società ricorrente dichiarava, quindi, di non aver mai fruito del riscaldamento ed ha affermato che, a partire dal 2017, stante l’obbligo di legge, erano state installate le valvole termostatiche nelle altre unità immobiliari e nessun costo era stato più addebitato all’attrice a titolo di consumi, ma solo a titolo di spese fisse relative alla manutenzione dell’impianto.
Il condominio affermava, di contro, la definitività dei riparti consuntivi delle spese condominiali, contenenti anche quelle relative al servizio di riscaldamento, perché regolarmente approvati con voto favorevole anche dell’attrice, che mai le aveva impugnate. Infine, per regolamento, le spese per il riscaldamento erano dovute dai condòmini anche nell’ipotesi in cui il servizio non venisse fruito o i locali rimanessero disabitati.
L’infondatezza della domanda
La condomina lamentava di aver patito un danno ingiusto derivante dalle delibere di approvazione delle spese e dei relativi riparti, nella parte in cui ponevano a suo carico, pro quota, i costi relativi al servizio di riscaldamento, nei dieci anni precedenti. Al contempo, però, aveva esplicitamente affermato la legittimità delle delibere, non avendole mai impugnate. Quindi, la domanda risarcitoria non poteva essere accolta poiché il suo presupposto è la ingiustizia del danno e tale ingiustizia può derivare eventualmente da delibere illegittime, non certo da delibere regolarmente approvate - anche col consenso dell’attrice - né mai impugnate.
La peculiarità delle norme applicabili
La materia condominiale è soggetta a regole sue proprie, avendo il legislatore dettato una disciplina speciale e derogatoria, in forza della quale l’obbligo dei singoli partecipanti alla comunione dell’edificio di contribuire al pagamento delle spese effettuate nel comune interesse sorge per effetto della deliberazione con la quale l’assemblea approva le spese stesse. Tale delibera costituisce il titolo costitutivo del credito in favore del condominio e, pur essendo soggetta ad impugnativa resta vincolante per i singoli condòmini anche a seguito di impugnazione, salvo eventuale sospensione giudiziale della sua efficacia esecutiva. Ciò per consentire alla gestione condominiale di realizzare le sue finalità istituzionali che, altrimenti, sarebbero compromesse, a tutela del superiore interesse pubblico.
Accanto alle proprietà individuali, sussiste una comunione forzosa tra tutti i condòmini sugli elementi del fabbricato la cui utilizzazione è necessaria ai fini del godimento delle singole proprietà individuali. Le parti comuni dell’edificio e i servizi comuni sono amministrati dalla volontà del gruppo; tuttavia, affinché sia evitata la paralisi della gestione comune, tale volontà collettiva non si forma mediante il metodo contrattuale del consenso reciproco, ma si forma mediante il “metodo collegiale”, che assegna ogni potere decisionale all’assemblea dei condòmini, la quale delibera a maggioranza. Tale volontà è vincolante per tutti i condòmini, anche per quelli assenti o dissenzienti.
Normativa a difesa della stabilità delle decisioni
La preoccupazione del legislatore nel voler assicurare la certezza dei rapporti giuridici di una entità così complessa, spiega perché la relativa disciplina normativa sia improntata alla stabilità delle deliberazioni dell’assemblea dei condòmini, che sono efficaci ed esecutive finché non vengano rimosse dal giudice (Cassazione Sezioni unite 9839/2021). A fondamento di questa disciplina vi è, infatti, l’esigenza di assicurare certezza e stabilità ai rapporti condominiali, di modo che l’ente sia in grado di conseguire in concreto la sua istituzionale finalità, che è quella della conservazione e della gestione delle cose comuni nell’interesse della collettività dei partecipanti.
Ne consegue che la sentenza di annullamento della deliberazione dell’assemblea ha efficacia di giudicato, in ordine alla causa di invalidità accertata, nei confronti di tutti i condòmini, anche quelli che non abbiano partecipato al giudizio di impugnativa promosso da uno o da alcuni di loro (Cassazione 29878/2019 e 19608/2020). In sostanza, come non è possibile che una deliberazione assembleare valida ed efficace vincoli alcuni condòmini e non altri, così va escluso che la deliberazione assembleare possa essere giudizialmente annullata con effetto limitato al solo impugnante e rimanga invece vincolante per gli altri partecipanti.
Tutelare la contabilità
Infatti, ove fosse consentito al condomino di sottrarsi al pagamento delle spese regolarmente deliberate senza il previo annullamento della delibera condominiale, si avrebbe l’effetto di privare di validità e di efficacia la delibera stessa solo nei confronti del singolo condomino, e non anche degli altri condòmini, in violazione della normativa richiamata. Tale risultato sarebbe in contrasto con le esigenze di funzionamento del condominio, e, nel caso di deliberazioni di ripartizione delle spese, renderebbe impossibile la gestione della contabilità condominiale.
Infatti, la quota di contribuzione di ciascun partecipante al condominio è rapportata alla quota di contribuzione degli altri, cosicché l’eliminazione di una quota non può non travolgere, inevitabilmente, anche le altre. Pertanto la mancata proposizione dell’azione di annullamento, dà luogo a decadenza ed è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.
I motivi del rigetto
Non avendo l’attrice mai impugnato le delibere di approvazione delle spese e dei riparti, queste sono state ritenute definitive, costituendo valido titolo di credito in favore del condominio. Inoltre, la documentazione contrastava la tesi dell’avvenuto distacco dell’unità immobiliare dall’impianto centralizzato di riscaldamento, dando solo evidenza del fatto che esso non fosse stato acceso. In definitiva, le risultanze documentali contrastavano con la versione dei fatti rappresentata dall’attrice e non avevano consentito di disporre accertamenti tecnici, che avrebbero comunque avuto carattere meramente esplorativo e non di prova.