Condominio

«Rappresentanti» con parti comuni

di Antonio Scarpa

Ci sono delle leggi che sono come il vino cattivo, passano gli anni e peggiorano.

L’articolo 67, comma 3, delle Disposizioni di attuazione del Codice civile, introdotto dalla riforma del condominio entrata in vigore nel 2013, dispone che «nei casi di cui all’articolo 1117-bis del codice, quando i partecipanti sono complessivamente più di sessanta»; ciascun condominio deve nominare il proprio rappresentante all’assemblea per la gestione delle parti comuni a più condominii e per nominare l’amministratore.

Il presupposto numerico cui è legata l’applicabilità della disposizione in esame è chiaro: quando i condomini, intesi come proprietari esclusivi di un’unità compresa nel complesso immobiliare, in conseguenza di acquisto per atto tra vivi, o di divisione o anche di successione mortis causa, divengano più di sessanta.

Peraltro, tutti, leggendo il comma 3 dell’articolo 67 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile, hanno finora inteso che l’obbligo di nomina del rappresentante sussistesse solo quando si sia in presenza di una pluralità di edifici, costituiti o meno in distinti condomini, ma compresi in un più ampio contesto connotato dall’esistenza di cose, impianti o servizi comuni (il viale di accesso, le zone verdi, l’impianto di illuminazione, la guardiola, il servizio di portierato, eccetera).

È però incontestabile che la lettera della norma dice qualcosa di diverso e di più ampio: l’obbligo della nomina del rappresentante per la gestione delle parti comuni sussiste, non appena i partecipanti siano più di sessanta, «nei casi di cui all’articolo 1117-bis del codice». E questi non suppongono necessariamente che vi siano più edifici, costituiti o meno in distinti condomìni, in quanto, piuttosto, comprendono «tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condomini di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’articolo 1117».

Pertanto, anche in caso di unico edificio composto di più unità immobiliari aventi parti comuni, quando i condomini siano in totale più di sessanta, la gestione ordinaria delle parti comuni del pur unico edificio viene affidata all’assemblea dei rappresentanti.

Si può obiettare che l’articolo 67, comma 3, delle Disposizioni di attuazione afferma che «ciascun condominio» deve designare il proprio rappresentante e che le parti da gestire devono essere “comuni a più condominii». Ma ciò cosa vuol dire? Non certo che ciascun gruppo di unità immobiliari chiamato ad esprimere un proprio rappresentante debba per forza rivelare una tipologia costruttiva tale da dar luogo ad un edificio “indipendente” ed “autonomo”, tale da consentirne lo scioglimento ai sensi degli articoli 61 e 62 delle Disposizioni di attuazione. Per aversi un “condominio”, sempre in base al nuovo articolo 1117-bis del Codice civile, basta che ci siano almeno due unità immobiliari, di diversa proprietà esclusiva, che abbiano parti comuni ai sensi dell’articolo 1117.

In definitiva, per come sono state scritte le due norme analizzate, la situazione di fatto che impone l’operatività dell’articolo 67 citato è che vi siano almeno sessantuno unità immobiliari, che abbiano alcune parti comuni a tutte (ad esempio, il cortile, il portone di ingresso, l’androne) ed altre parti (scale, terrazze, impianti) destinate a servire unicamente una frazione di esse (condominio parziale). In questi contesti opera l’assemblea dei soli rappresentanti per la gestione ordinaria delle parti comuni (indipendentemente dal numero degli edifici autonomi) alle oltre sessanta unità immobiliari, in maniera da semplificare il procedimento di convocazione e di votazione del collegio. Le parti del più ampio complesso che siano, invece, per loro struttura e destinazione, comuni soltanto ad un numero più limitato di condòmini, saranno gestite secondo le ordinarie regole degli articoli 1135 e 1136 del Codice civile.

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